FREMM Classe Bergamini (foto Fincantieri)

Italian Seapower

Massimo Morello

L’Italia potrebbe essere un Seapower State, una potenza marinara che faccia da punto d’equilibrio tra Oriente e Occidente lungo le nuove via della seta marine. Ne ha la cultura, la tecnologia, i mezzi. Manca la visione strategica e politica.

“Il concetto di potenza marinara include mitologia, emozioni e valori”. Un concetto di cui si è perduto l’originario significato della parola greca spostandolo da identità a strategia e “indebolendo la nostra capacità di comprendere la potenza marinare in quanto cultura”. Questo il tema centrale di Seapower States, saggio di Andrew Lambert, professore di Storia Navale al King’s College di Londra. “Comprendere il moderno collegamento tra le navi e l’effettivo funzionamento del sistema economico globale ci obbliga a sviluppare un vero punto di vista globale” scrive il professor Robert C. Rubel del Centre for Naval Warfare Studies in Navies and Economic Prosperity: the New Logic of Sea Power. Sui tavoli degli analisti di geopolitica sempre più spesso si trova The Influence of Sea Power upon History, il testo di Alfred Thayer Mahan, ammiraglio e stratega navale americano di fine Ottocento.

 

Mahan stabilisce una sorta di sillogismo tra le prospettive economiche nazionali, il commercio marittimo e la sua marina militare.

 

L’idea di Seapower è tornata di moda in un mondo in cui l’80% per volume e il 70% per valore del traffico globale di merci è trasportato via mare. È centrale soprattutto nella politica estera cinese: il 60% del traffico marittimo passa per l’Asia, e un terzo del commercio globale segue le rotte nel Mar della Cina Meridionale, che lo stretto di Malacca mette in connessione con l’Oceano Indiano e il Pacifico.

 

In questo nuovo grande gioco potrebbe rientrare anche l’Italia, con un ruolo di “Seapower State”. Non tanto in termini strategici quanto culturali ed economici. Proprio come lo era Venezia (uno dei case history nel libro del professor Lambert). Eredità storica che non deve apparire troppo remota. Bisognerebbe piuttosto seguire l’esempio dei cinesi, che hanno una visione della storia a lungo raggio: esaltano le spedizioni dell’ammiraglio Zheng Hi, che all’inizio del XV secolo, sotto la dinastia Ming, fu incaricato di guidare nei “mari occidentali” una flotta che includeva anche navi mercantili, le cosiddette navi dei tesori.

 

Le navi dei tesori italiane potrebbero rivelarsi quelle costruite dalla Fincantieri. La Poseidon, la nuova società costituita il 14 giugno da Fincantieri e dal francese Naval Group che avrà per sede Genova si pone per obiettivo commesse per 5 miliardi di dollari in dieci anni e cinquemila posti di lavoro tra gli stabilimenti francesi e quelli italiani. La joint venture punta decisamente sull’export, in particolare sulle commesse militari da parte dei paesi asiatici (ovviamente esclusa la Cina, divenuta la maggior produttrice navale). Ma le navi made in Europe potranno battere proprio la concorrenza cinese, sia per costi (Fincantieri gestisce anche i bacini navalmeccanici del Vietnam) sia per innovazione tecnologica. Di particolare interesse per le nazioni del teatro Indo-Pacifico è la nuova generazione di fregate Fremm (Fregate europee multi-missione o Frégates européennes multi-mission) concepita per adattarsi a diverse esigenze operative. Italia e Francia, inoltre, stanno lavorando al progetto definito European Patrol Corvette per un’unità da pattugliamento da circa 3.000t, che nel prossimo decennio potrebbe essere interessare le flotte del sud e sud-est asiatico (dove la spesa militare è in continuo incremento).

 

 

Il solo gruppo italiano, infine, è presente sul mercato statunitense costruendo le avveniristiche Littoral Combat Ships per la marina americana.

 


 

Nel frattempo, sembra che si stia delineando una sorta di coalizione europea (anglo-franco-tedesca) intenzionata a giocare un ruolo proattivo lungo le vie della seta marittime. “La cooperazione è più necessaria che mai considerando l’evolversi delle sfide alla sicurezza in Asia” ha dichiarato il ministro della difesa francese Florence Parly al recente Shangri-La Dialogue, il più importante forum sui problemi della difesa in Asia Orientale. “Non ci vuole Kissinger per capire che in Asia si stiano ponendo le basi per un confronto globale. Lo vediamo nelle guerre commerciali, tecnologiche, monetarie…E questo è solo l’inizio”.
Se l’Italia vuole diventare un Seapower State, come potrebbe e sarebbe logico data la sua posizione geografica, deve consolidare le tradizionali coordinate geopolitiche del nostro paese, collocarsi lungo le vie della seta marittima sia come terminale occidentale sia come punto di partenza verso il Nord-Europa. Come raccontato in un’altra storia di Mekong Cafè, lo stesso concetto di “Mediterraneo allargato”, che sembra sottinteso alla strategia della Marina Militare, si estende sino allo scenario dell’Asia-Pacifico. Il Seapower italiano è definito da quei “magnifici pezzi d’Italia che naviga” che sono le sue navi. Mancano le coordinate geopolitiche.