Dialoghi sul Mekong

Massimo Morello

I progetti per la gestione del Mekong. Un modo per comprendere l’ecosistema di uno dei più grandi e meno noti fiumi del pianeta. E confrontare un mondo lontano con il nostro.

In questi tempi di siccità che in Occidente appaiono come una piaga biblica, ci si può distrarre osservando problemi molto lontani: quelli che riguardano la gestione delle acque del Mekong. Ne fa un’interessante sintesi il video prodotto dalla Mekong River Commission (Mrc), organizzazione intergovernativa che rappresenta la “cabina di regia” per la diplomazia delle acque e la cooperazione regionale i cui membri (Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam) riescono a condividere una risorsa comune  nonostante gli interessi nazionali. Intitolato “Mekong Transboundary Dialogue” (Dialogo transnazionale sul Mekong), il video presenta cinque progetti bilaterali focalizzati sulla pesca, i terreni paludosi, il delta, la gestione di laghi e bacini.

Questo video non poteva non apparire qui, nel blog intitolato Mekong Café. Ed è soprattutto un pretesto per definire, magari in ritardo, l’ecosistema in cui ci muoviamo. E’ un mondo che non si può paragonare al nostro, almeno per ora. Ma che può aiutarci a inquadrare nella giusta prospettiva i nostri problemi, la nostra forza e la nostra debolezza.

Il Mekong è un fiume che esercita un grande fascino nell’immaginario occidentale, ma solo da poco tempo, dopo la guerra del Vietnam, che ha reso il delta del Mekong un luogo letterario, una scenografia. Per molti il Mekong è il Delta. “Perché gli esploratori dei fiumi africani, ma anche quelli dell’Amazzonia hanno catturato l’immaginazione occidentale come non è mai accaduto per il Mekong?” si chiede Milton Osborne nel suo saggio Mekong. “Le risposta, credo, sta tutta nel fatto che il Mekong cominciò a scorrere nella conoscenza occidentale molto tardi”.

Il Mekong nasce in qualche punto del Qinghai-Tibet Plateau, in Cina, sul versante settentrionale dei Monti Tanglha. Da là scende a sud-est sino al Mar Cinese meridionale compiendo un percorso che varia, secondo i diversi testi, tra i 4200 e i 4900 chilometri (4880 pare la cifra più accreditata). Sufficienti, ad assicurargli il dodicesimo posto nella classifica dei fiumi più lunghi del mondo.  Nel primo tratto, dagli altopiani himalayani attraverso il Tibet Orientale, è chiamato Dza (o Za) Chu (o Qu), l’acqua delle rocce. Superate profonde gole scorre in Sichuan e Yunnan, dove i cinesi Han lo battezzano Lancang Jiang o Lan-ts'ang Chiang, ovvero fiume turbolento. Penetrato nella Penisola Indocinese, segna il confine tra Laos e Birmania e tra Laos e Thailandia, dov’è chiamato Mae Nam Khong, madre delle acque Khong, dalla cui contrazione deriva, per l’appunto, Mekong. Attraversa da nord a sud la Cambogia, spesso chiamato Tonle Thom, grande fiume, e in Vietnam mantiene lo stesso significato nel toponimo di Song Lon. Ma poi, dove si apre nei due rami del suo vasto delta (70.000 kmq), formando isole, canali, rivoli, che si gonfiano con la marea, si chiama allora Song Cuu Long, il fiume dei nove dragoni, dividendosi in altrettanti bracci.

Con i suoi tributari forma un bacino che copre un’area di 810.000 chilometri quadrati, (più o meno: anche questa cifra sembra variare con la stessa frequenza delle piene) popolata da oltre settanta milioni di persone appartenenti a cento gruppi etnici. Il fiume condiziona ogni aspetto della loro vita. E’ via di trasporto, fonte d’acqua e, soprattutto, di cibo, alimentando una pesca che per diversità è seconda solo a quella del rio delle Amazzoni: nuotano in queste acque circa 1200 specie di pesci. Compreso il pesce gatto gigante che appare nella tazza da caffè di questo blog.

Ma per i popoli delle rive, il Mekong è più di una risorsa, è una divinità: per i thai è Khong, la Madre delle acque, una dea portatrice di fertilità il cui nome evoca il Gange (ganga in sanscrito); per gli antichi khmer era il rifugio dei naga, serpenti guardiani e dispensatori di tesori.

Allargando lo sguardo, il Mekong appare come l’arteria centrale di un subcontinente formato da sei nazioni in cui vivono oltre 230 milioni d’abitanti. Con un’ulteriore zoomata, diciamo con una visione quasi satellitare, possiamo osservare il fiume che scorre dai margini estremi sino quasi al centro geografico dell’ASEAN, l’Associazione delle nazioni del Sud Est Asiatico (Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei Darussalam, Vietnam, Laos, Myanmar, Cambogia), una regione estesa per  circa quattro milioni e mezzo di chilometri quadrati, con una popolazione di circa mezzo miliardo di abitanti.

Dopo decenni di guerre che lo resero il cuore di tenebra dell'Asia, l’inaccessibilità del Mekong scompare definitivamente solo con la costituzione della Mekong River Commission, istituita nel 1995, in un periodo in cui finalmente la pace sembra prevalere, i regimi socialisti inseguono economie di mercato, paesi rimasti isolati si aprono all'economia globale, organismi finanziari come la Banca Mondiale e la Banca Asiatica di Sviluppo (la Adb, Asian Development Bank) lanciano programmi di infrastrutture ambiziosi per collegare i paesi rivieraschi con strade, reticoli per distribuire l'energia elettrica prodotta da nuove dighe, ferrovie.

Il Mekong, dunque, è divenuto un laboratorio e un osservatorio di quei fenomeni, politici, economici, finanziari e culturali che stanno cambiando il pianeta. Ecco quindi il perché di questo blog. Il suo titolo, per essere sincero, ha anche un altro motivo. Parecchi anni fa avevo intitolato così un libro che raccontava di un lungo viaggio dal delta sino, quasi, alla sorgente. Ma l’editore ritenne opportuno ribattezzarlo Mekong Story.