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un mondo d'acqua

La signora degli oceani, tornano i saggi di Rachel Carson

Massimiano Bucchi

La biologa che ha cambiato il nostro modo di osservare l’ambiente marino: dagli studi sulla Albatros III alla lotta contro lo smalitmento delle scorie in mare

"Avrei potuto dire con Emily Dickinson: non ho mai visto una brughiera, non ho mai visto il mare. Eppure so com’è fatta l’erica, e come è fatta un’onda”. Rachel Louise Carson nasce il 27 maggio 1907 vicino a Springdale, Pennsylvania. Cresce in una fattoria e ascoltando i racconti e le letture della madre Maria Frazier sviluppa un interesse precoce per la scrittura. A otto anni inizia a scrivere storie. Due anni dopo Rachel riceve un premio da una rivista per un racconto in cui rielabora l’esperienza del fratello come pilota militare. Nel 1932 ottiene un Master in zoologia alla Johns Hopkins University. Cresciuta senza aver mai visto prima il mare, decide di specializzarsi in biologia marina. Al termine degli studi trova un impiego in agenzie federali che si occupano di pesca e ricerca marina, e qui inizia a scrivere opuscoli e copioni radiofonici. Si trova però presto obbligata a sostenere l’intera famiglia: la madre rimasta vedova, le due figlie della sorella morta, la nipote gravemente ammalata di diabete. Quando questa muore lasciando un figlio illegittimo, Rachel lo adotta. Per integrare i guadagni, oltre che per passione, scrive articoli e saggi, spesso firmandoli solo con le iniziali per il timore di non essere presa in considerazione. La svolta nella sua vita e nella sua scrittura avviene quando sale – ed è la prima donna a riuscirci – a bordo della nave di ricerca Albatros III. 

 

Quando torna a terra, ha una doppia rivelazione. La prima è che “il nostro è un mondo d’acqua, dominato dall’immensità del mare”. Una consapevolezza, questa, che condivide con altre figure di rilievo del mondo della scienza e della letteratura. Per lo scrittore Arthur C. Clarke, chiamare “Terra” il pianeta in cui abitiamo era stata una scelta assai infelice, sarebbe stato molto meglio chiamarlo “Oceano”. Circa tre quarti della superficie terrestre sono infatti costituiti dal mare. Per lo scienziato James Lovelock, che con la sua ipotesi “Gaia” concepiva il nostro pianeta come un “superorganismo”, un sistema vivente autoregolato, in cui le stesse forme di vita contribuiscono a mantenere in equilibrio la temperatura e la composizione dell’atmosfera, questo è il motivo per cui le fotografie prese dallo spazio mostrano il nostro pianeta “come un globo di zaffiro blu, cosparso di soffici batuffoli di nuvole con due calotte di bianco brillante ghiaccio polare. La bellezza della nostra casa contrasta fortemente con l’uniformità legnosa dei nostri vicini Marte e Venere”. Già l’astronauta russo Jurij Gagarin, vedendolo dallo spazio, aveva definito la Terra come “il pianeta blu”. “Gli oceani sono parti vitali di quel motore a vapore che trasforma l’energia radiante del sole in movimenti dell’aria e dell’acqua, che a loro volta distribuiscono tale energia su tutte le regioni della Terra”. Ma da dove viene tutta quest’acqua? La risposta è tutt’altro che semplice e scontata. “La semplice e ineluttabile verità” scriverà in seguito la Carson “è che nessuno era là a vedere”. 

La seconda rivelazione per la Carson è che non deve più scegliere tra la passione per la scrittura e quella per gli ambienti marini. Incaricata di scrivere un rapporto per l’agenzia per cui lavora (quella che in seguito diverrà lo US Fish and Wildlife Service), la ventottenne Rachel scrive di getto un articolo di quattro pagine, “Undersea” in cui descrive con grande poesia la vita nelle profondità dell’oceano, invitando il lettore ad assumere il punto di vista delle stesse creature marine (lo si può leggere ora nella bellissima raccolta di testi poco noti pubblicati in questi giorni da Aboca, Una favola per il futuro e altre cronache dal mondo naturale). Il suo capo respinge il testo, inadatto a una pubblicazione tecnica, ma le suggerisce di spedirlo alla rivista The Atlantic Monthly, che lo accetta con entusiasmo e lo pubblica nel settembre 1937. Da quelle quattro pagine prende il via una nuova vita e una nuova carriera. Nel 1941 esce il libro Under the Sea Wind (“Al vento del mare”), primo di tre volumi dedicati al mare in cui una conoscenza ormai profonda della scienza degli ambienti marini non toglie spazio a un senso di umiltà, di stupore e meraviglia. 

“Chi può dire di conoscere l’oceano? Né io né voi, con i nostri sensi terreni, conosciamo la schiuma e l’onda che si abbatte sul granchio nascosto sotto le alghe, nello specchio d’acqua creato dai flussi di marea, tra le rocce dove ha la sua dimora; o il ritmo del lungo, lento ingrossarsi dell’oceano, dove banchi di pesci erranti cercano le prede e a loro volta diventano preda e il delfino infrange le onde per respirare in superficie. Né possiamo conoscere le vicissitudini della vita sul fondo dell’oceano, dove la luce del sole, che filtra attraverso una massa di acqua profonda un centinaio di metri, non è che un debole chiarore bluastro e dove si adagiano la spugna e il mollusco, la stella marina e il corallo, dove sciami di pesci minuscoli brillano nell’oscurità come una pioggia argentea di meteore, e le anguille stanno in attesa tra le rocce. Ancor meno è dato all’essere umano di scendere lungo quella imperscrutabile profondità di sei miglia fino ai recessi dell’abisso dove regna il silenzio assoluto, il freddo immutabile e la notte eterna”.

L’accoglienza della critica è buona ma le vendite sono modeste. Per il libro successivo bisogna attendere ben dieci anni. In mezzo ci sono la guerra, le difficoltà in famiglia ma soprattutto, come ha scritto Bruna Bianchi in un ricchissimo saggio, una “ricerca monumentale che si avvalse degli scambi con studiosi di tutto il mondo”. Il mare attorno a noi è costruito come una “biografia” del mare pubblicata dapprima parzialmente a puntate sul New Yorker e poi in volume nel 1951 da Oxford University Press. Il libro si apre con una citazione dalla Genesi: “E la terra era una massa senza forma e vuota; e le tenebre ricoprivano l’abisso”. “Molto si è dibattuto sul come e quando la terra ottenne il suo oceano e non sorprende che le spiegazioni non sempre concordino […] perciò questo mio racconto del modo in cui il giovane pianeta Terra acquistò un oceano sarà un racconto messo insieme da molte fonti”. Il libro è un successo straordinario, resta per diciotto settimane nella classifica dei bestseller ed è tradotto in trentadue lingue (in Italia è pubblicato da Einaudi). Vince il National Book Award e ne viene tratto un documentario che lascia l’autrice insoddisfatta anche se vince addirittura un premio Oscar. Rachel può ora lasciare gli uffici per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. E può finalmente coronare il proprio sogno di un cottage vicino al mare e di un tratto di spiaggia a Southport Island, nel Maine, che esiste ancora oggi (16, Carson Lane) e che volendo si può anche affittare come alloggio. A Southport Island Rachel viene accolta subito con affetto da una vicina di casa, Dorothy Crawford, con cui avvia un’intensa amicizia, forse qualcosa di più, non lo sappiamo. 

E’ qui che completa la trilogia con The Edge of the Sea (1955) dedicato alla simbiosi tra mare e spiaggia (In Italia lo ha pubblicato solo l’anno scorso Aboca, La vita che brilla sulla riva del mare). “Dietro alla bellezza dello spettacolo [della vita] c’è un senso e un significato [...] Ci riporta in riva al mare, dove fu rappresentata la prima scena del dramma della vita – e forse anche il suo preludio”. “Tutto ritorna nel mare”, scrive in un altro testo pochi anni dopo, “tanto che in ogni granello di sabbia c’è una storia della Terra”. Nel 1956 pubblica un breve articolo sulla rivista Woman’s Home Companion, Sense of Wonder (“Senso di meraviglia”), ispirato da una visita del piccolissimo nipote al cottage. “Una burrascosa sera d’autunno, quando mio nipote Roger aveva all’incirca venti mesi, lo avvolsi in una coperta e lo portai sulla spiaggia […] enormi onde tuonavano, bianche forme a malapena distinguibili che esplodevano e urlavano gettandoci addosso grosse manciate di schiuma. Insieme ci lasciammo andare a una risata di pura gioia: lui, un bambino che incontrava per la prima volta il tumulto selvaggio del dio Oceano; io, con il gusto di un amore per il mare che durava da metà della mia vita. Eppure credo che entrambi provammo lo stesso brivido in risposta al vasto oceano ruggente e alla notte tempestosa attorno a noi”.

Ma il successo non le porta la serenità sperata, né sul piano personale, né su quello intellettuale. Nel 1957 perde la nipote, l’anno successivo la madre. Dopo quattro anni di lavoro, il nuovo libro di Rachel compare nelle librerie il 27 settembre 1962. Al centro non c’è più la meraviglia, ma la preoccupazione per il degrado dell’ambiente, del paesaggio, delle specie vegetali e animali. Il titolo è ispirato da una poesia di John Keats, La Belle Dame sans Merci (1819):

 

“Per questo io qui soggiorno
solo e pallido errante,
benché il giunco è prostrato in riva al lago,
né uccello canta”

 

La lettera di un’amica, Olga Owens Huckins, che lamentava la morìa di alcune specie di uccelli in una zona rurale a seguito di una massiccia disinfestazione, la spinge a raccogliere dati e pareri di esperti. Il risultato è un grido d’allarme sulle conseguenze dell’abuso di pesticidi per l’ambiente e la salute, scritto con la stessa passione e lirismo dei libri precedenti. Lo stesso mare tanto amato, spiega in un discorso tenuto pochi mesi prima della pubblicazione del libro agli studenti dello Scripps College in California, è divenuto “il luogo dove smaltire le scorie radioattive”. “L’acqua, forse la nostra risorsa più preziosa, viene usata e abusata in modo sconsiderato. I nostri fiumi sono inquinati da un’incredibile varietà di rifiuti, domestici, chimici, radioattivi, così che il nostro pianeta, sebbene dominato dai mari che lo avvolgono per tre quarti della superficie, sta divenendo un mondo assetato”. Accompagnato dalle illustrazioni dei coniugi Lois e Louis Darling, il suo grido d’allarme scuote le coscienze. Silent Spring (“Primavera silenziosa”) diviene rapidamente un best seller in molte lingue (Feltrinelli lo ha appena ripubblicato con una nuova prefazione di Paolo Giordano). La rete televisiva CBS gli dedica uno speciale che va in onda il 3 aprile 1963. Per la scrittrice Margaret Atwood, “Rachel Carson è una figura cruciale del Novecento […] Gli esseri umani hanno un enorme debito di riconoscenza nei suoi confronti, e se ci addentreremo nel ventiduesimo secolo come specie, in parte lo dovremo a lei”. A dispetto di resistenze e voci scettiche, soprattutto da parte dell’industria chimica, l’allarme giunge fino all’allora presidente americano John Fitzgerald Kennedy, che incarica una commissione di esperti di approfondire le questioni sollevate, portando infine a una regolamentazione più rigida dei pesticidi. Ma Rachel Carson non può continuare a seguire il dibattito, a difendersi dagli attacchi di una parte dell’industria e della politica, né accogliere i premi e gli inviti che continuano ad arrivare: muore il 14 aprile 1964, a cinquantasei anni, per le conseguenze di un cancro al seno contro cui aveva lottato a lungo subendo anche una mastectomia, scegliendo di tenerlo segreto nel timore che la sua battaglia contro i prodotti chimici potesse essere delegittimata attribuendola a rancori personali.

In quegli anni così difficili, Rachel torna spesso al suo breve racconto sul senso di meraviglia, prendendo numerosi appunti. “Voglio davvero finire il libro sulla meraviglia, sarebbe un sogno riuscirci” scrive. Purtroppo non ci riuscì, e il libro uscì così com’era, un anno dopo la sua scomparsa, nel 1965 (in Italia è tradotto come Brevi lezioni di meraviglia. Elogio della natura per genitori e figli, Aboca, 2020). In una delle ultime lettere all’amata Dorothy Freeman ricorda una mattina trascorsa insieme sul mare. “Mia cara, la nostra mattina a Newagen è stata per me uno dei momenti più belli dell’estate, e tutti i dettagli sono impressi nella mia memoria: il cielo blu di settembre, i suoni del vento tra gli abeti e la risacca sugli scogli, i gabbiani che si posano con grazia deliberata. Ma più di tutto ricorderò le farfalle monarca […]. Abbiamo parlato un po’ della loro migrazione, della storia della loro vita. Sarebbero ritornate? Pensammo di no; per molte di loro era l’ultimo viaggio. Oggi pomeriggio, ricordando quello spettacolo, mi è capitato di pensare che era stato uno spettacolo felice, che non ci eravamo sentite tristi parlando del fatto che non ci sarebbe stato ritorno. E giustamente, perché quando un qualsiasi essere vivente è giunto alla fine del suo ciclo di vita, noi accettiamo quella fine come naturale [...] non è una cosa triste il fatto che una vita giunga al termine. Questo è ciò che quei frammenti di vita luminosi e svolazzanti mi hanno insegnato questa mattina. Vi ho trovato una profonda felicità, e spero anche tu”. 

Oltre sessant’anni dopo, si guarda ancora a Primavera silenziosa come a una delle scintille che hanno acceso la nostra coscienza ecologica, oltre che un esempio di quale impatto possa avere la parola scritta, se arriva al posto giusto e nel momento giusto. Proprio come le onde del mare che tanto affascinavano Rachel Carson.

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