Una lezione da Arlington

La scommessa di Axios: giornalismo di qualità e tecnologia. Parla il fondatore Jim VandeHei 

Marco Bardazzi

In cinque anni la testata americana ha dimostrato che si può creare valore in modo significativo con le news, unendo l’approccio da tech company a un modello di business digitale più tradizionale: "Il nostro credo è che qualsiasi contenuto possa essere scritto in un modo più efficace e di più facile lettura, servendo il lettore come faresti in un ristorante"

C’è stato un momento alcuni anni fa, intorno al 2005-2006, in cui abbiamo cominciato a chiamare “smartphone” i telefonini che avevamo in tasca. Per qualche tempo ci si è interrogati su cosa rendesse “smart” un cellulare e le prime risposte indicavano che la strada intelligente conduceva a qualcosa di molto simile a un BlackBerry: un telefono con una tastierina, con una qualche capacità di navigare in rete e spedire mail. Poi un giorno di gennaio del 2007 Steve Jobs è salito sul palco del Macworld di San Francisco e ha estratto dalla tasca dei jeans il primo iPhone. E il concetto di smartphone ha assunto tutto un altro significato, mandando in pensione il BlackBerry. 

 

Il giornalismo e in generale la comunicazione sono da anni alla ricerca di percorsi smart per trasformare professioni e strumenti che faticano a tenere il passo con la rivoluzione digitale. Non trattandosi di una questione puramente tecnologica, è improbabile che salti fuori l’iPhone del giornalismo ed è più plausibile guardare a tante possibili strade diverse. Una di quelle che si stanno dimostrando di particolare successo è la Smart Brevity. È l’approccio alla narrazione dei fatti che da cinque anni sta alla base del successo di Axios, una testata americana che spunta ormai dovunque sotto forma di articoli ricchi di bullet points ad alto contenuto informativo, che spiegano bene il mondo in pochi minuti e poi offrono la possibilità, se vuoi, di andare più a fondo. 

 

Il nostro credo è che qualsiasi contenuto possa essere scritto in un modo più efficace e di più facile lettura, servendo il lettore come faresti in un ristorante, avendo a cuore il motivo per cui ogni persona è venuta a cena da te”: parola di Jim VandeHei, che guida da amministratore delegato la società che ha fondato nel 2017 con Michael Allen e Roy Schwartz, dopo essersi lasciato alle spalle Politico, un altro innovativo successo editoriale a cui aveva dato la luce. VandeHei e Axios in questi giorni sono alle prese con la complessità di raccontare gli scenari aperti dalla guerra in Ucraina, ma anche con il decollo di una strategia di crescita che punta su tre nuove direttrici: informazione locale, newsletter altamente specializzate a pagamento e un innovativo software per aiutare le aziende a comunicare con i loro dipendenti in modo efficace. 

 

Ragionare di smart journalism con VandeHei è un’esperienza priva dei toni di sconsolata rassegnazione che di solito serpeggiano nelle redazioni, stremate da anni di tentativi di costruire percorsi alternativi di fronte all’esodo di lettori e ricavi pubblicitari causato dal confronto con la rivoluzione digitale e i social media. “Sono più ottimista sul giornalismo oggi di quanto lo sia stato negli ultimi 15 anni”, spiega al Foglio seduto davanti alla videocamera del pc nel suo ufficio ad Arlington, in Virginia, dove Axios ha la propria redazione centrale in un palazzo per uffici nell’area tra il celebre cimitero dei caduti di guerra e il campus della George Mason University. Centocinquanta degli oltre quattrocento dipendenti lavorano nella sede di Arlington, realizzando contenuti per il sito e la app di Axios e per le 34 popolarissime newsletter gratuite che in tutto il mondo vengono lette ogni giorno da 2,2 milioni di persone. Tutti prodotti caratterizzati dallo stile originale della Smart Brevity: notizie e analisi divise per punti, con domande e risposte sui temi più delicati e la possibilità di approfondire cliccando sul bottone “Go Deeper” (vai più a fondo). 

 

“Scommetto sul giornalismo perché vedo così tante persone in questo ambito che si stanno adattando nel modo in cui avrebbero dovuto farlo prima: cercando di comprendere le audience, comprendere il business, premiare la qualità e il contenuto autorevole e di cui ci si può fidare, costruendo una relazione sana con i consumatori. Se fai queste cose, là fuori c’è una platea mondiale che è curiosa e affamata di contenuti di alta qualità. Può non essere tanto grande quanto vorremmo che fosse e questo settore può non essere più così redditizio come era una volta. Ma è ancora un ottimo business se lo affronti con la giusta mentalità”.

Axios in cinque anni ha dimostrato in effetti che si può creare valore in modo significativo con le news, unendo l’approccio da tech company a un modello di business digitale per certi versi tradizionale: informazione di qualità tutta gratis, in gran parte pagata da pubblicità selezionata e non invasiva. Lo scorso anno la società di VandeHei era al centro dell’attenzione per un paio di possibili operazioni importanti. Una era la fusione con The Athletic, uno dei siti web di informazione sportiva di maggior successo in America (invece lo ha comprato il New York Times per 550 milioni di dollari). L’altra era un possibile acquisto da parte del colosso tedesco Axel Springer, che alla fine ha comprato per oltre un miliardo di dollari Politico, l’ex gioiello di VandeHei. Axios si è invece fatta rifinanziare da Cox Enterprises con un’operazione nella quale il valore della società è stato stimato in 430 milioni di dollari. In pratica, ha scelto di proseguire il cammino da sola. “Abbiamo un nostro modo di fare giornalismo e una nostra cultura – spiega VandeHei – e siamo molto protettivi su questo. Per noi sarebbe dura fare una partnership con altre media company, a meno che non siano completamente convinte del nostro approccio. Può sembrare arroganza o testardaggine, ma è la nostra identità. Abbiamo una crociata da fare nel prossimo decennio: portare più gente possibile a consumare più contenuti smart possibile, nel modo più efficiente possibile e in più posti possibile”. Anche in Europa, come già ha fatto Politico? “Non ancora, magari più avanti”.

 

Per il momento il focus resta quindi l’America dove adesso, con un investimento di 30 milioni, è partita la nuova strategia su tre fronti. Il primo è Axios Local, che ha già portato all’apertura di 14 testate locali con altre 11 pronte a partire entro la fine dell’anno. In città dove la crisi dei media ha decimato l’informazione, come Austin, Denver o Charlotte, Axios sta lanciando il proprio modello di giornalismo dedicandolo all’informazione cittadina. “La scelta – spiega VandeHei – è una conseguenza del modello che abbiamo testato. Fin dall’inizio la nostra teoria è stata che in questa èra di eccesso di rumore ed eccesso di opzioni a disposizione, c’era bisogno di dare più efficacia al contenuto, soprattutto ai contenuti digitali che le persone leggono in ogni momento. Per questo abbiamo creato la Smart Brevity: giornalismo intelligente ma reso il più possibile efficiente a vantaggio del consumatore. Visto che il consumo ormai è in gran parte su web mobile, c’è bisogno di qualità per penetrare in mezzo alla quantità di altre cose che pretendono la nostra attenzione. Più siamo andati avanti e abbiamo avuto successo, più ci siamo resi conto che questa è una soluzione che vale ovunque le persone abbiano bisogno di informazione di cui fidarsi, per il loro lavoro e per la vita in comunità. Quindi abbiamo pensato di portarla più vicino ai consumatori, nelle loro città, con l’informazione locale”. 

 

La seconda scommessa è sulle newsletter professionali, “scritte da esperti e per esperti”, ad altissimo tasso di specializzazione, dedicate ad argomenti specifici (fintech, climate tech, fusioni e acquisizioni aziendali, temi legali) e in questo caso, a differenza delle popolari newsletter di Axios con milioni di abbonati, tutt’altro che gratuite: un abbonamento annuale per una newsletter di Axios Pro costa 599 dollari. “Un giorno forse arriverà il momento in cui le newsletter saranno inflazionate – dice VandeHei – ma per ora non ne vediamo i segni. Anzi, vediamo crescere il numero di persone che si spostano dai siti verso questo tipo di informazione, perché fluisce più facilmente nelle loro vite, è più semplice da organizzare. C’è qualcosa di affascinante nel concetto di newsletter. Chi le scrive lascia trapelare di più la propria voce e chi le riceve sa che c’è un inizio e una fine, che sono gestibili, rassicuranti”. 

 

Il terzo fronte aperto da Axios riguarda le aziende e la loro comunicazione interna. L’idea di fondo in questo caso è che il mondo aziendale comunichi in modo pessimo con i propri stakeholder più importanti, cioè i dipendenti, sommergendoli di documenti e mail che pochi leggono e che molto spesso creano stanchezza e scarso coinvolgimento. Sfruttando la propria anima da tech company giornalistica, Axios ha lanciato HQ, un software, dice VandeHei, “che aiuta aziende piccole e grandi a dialogare con i propri dipendenti con la Smart Brevity, dando gerarchia ed efficacia alle informazioni. E’ basato su tutti i dati che abbiamo raccolto in questi anni nel preparare le nostre news e permette di prendere i documenti aziendali e trasformarli nel format con cui facciamo informazione, per rendere accattivante la comunicazione interna”. Axios conferma così la tendenza dell’ultimo decennio di giornalismo americano nell’unire l’approccio da tech company alla tradizione del giornalismo di qualità. Una strada percorsa da testate recenti e di successo come Politico o Vox, ma anche dai vecchi colossi che si sono profondamente trasformati, come il New York Times o il Washington Post sottoposto alla terapia tecnologica di Jeff Bezos.

 

Dietro i software, la sintesi, l’efficienza e il business si nascondono non solo questioni di sostenibilità finanziaria del settore, ma anche interrogativi più profondi sul ruolo dell’informazione. “L’America e anche l’Europa sono fregate se non troviamo un modo per ricostruire velocemente un legame comune, una verità comune, una realtà comune”, riflette VandeHei. “Una delle cose che abbiamo capito è che più stai vicino alla casa delle persone, al loro posto di lavoro, più costruisci contenuti che possono vedere e verificare da soli, più saremo in grado di ricostruire una relazione di fiducia tra le media company e i consumatori. È uno dei motivi per cui stiamo investendo nell’informazione locale, pensiamo sia un ponte per ricostruire la fiducia anche nelle news nazionali e internazionali. C’è un crollo di fiducia che immagino sia lo stesso in Italia e in Europa, e tutto è facilmente manipolabile”. 

 

La guerra in Ucraina, da questo punto di vista, si sta dolorosamente rivelando un’opportunità. “Abbiamo visto qui in America, e sono sicuro ci sia anche in Italia, un interesse sui temi seri come non vedevamo da tempo. Le persone stanno andando a fondo nel cercare di capire temi legati alle relazioni tra i paesi, il ruolo della Nato, gli armamenti. Accade con lettori giovani e anziani ed è un’altra opportunità per tutti noi nel mondo dei media per rivelarci all’altezza del momento. Dobbiamo mostrare che siamo in grado di spiegare bene questi temi e allo stesso tempo contrastare la disinformazione che sta arrivando a fiumi dal regime di Putin e da chi lo sostiene. Dobbiamo anche imparare da Zelensky il potere dell’uso dei social media e della comunicazione diretta per far arrivare a tutti la propria storia”. 

 

VandeHei fa una pausa, riflette, poi allarga il tiro: “Penso che in America e in Italia la gente abbia dato negli ultimi tempi segni di stanchezza rispetto alla democrazia, ci stavamo rassegnando a vederla deperire. Quello che sta avvenendo in queste settimane mi sembra porti una rinnovata energia e un rinnovato realismo rispetto al mondo in cui viviamo. Ci interroga sul perché ci siano persone disposte a morire per la libertà e a porre maggiore attenzione a coloro che cercano di manipolare o eliminare la libertà, come è il caso di Putin”. Nelle democrazie stanche uno dei primi settori a soffrire è il giornalismo e un buon antidoto contro la crisi dell’informazione sono solidi conti aziendali. Non si può non chiedersi quali lezioni abbia imparato in questo senso un giornalista-imprenditore come VandeHei, che ha fondato due realtà di successo in quindici anni. “La lezione numero uno è che devi studiare davvero il consumatore, dove si trova in questo momento, dove sta andando e cosa occorre fare affinché ogni cosa che fai metta il lettore al primo posto. Creare contenuti solidi e di cui c’è bisogno è senz’altro la strada, ma deve servire a creare una relazione forte con il consumatore. Ci sono molte modalità poi di monetizzare questo rapporto: lo puoi fare con la pubblicità, con gli eventi, con i paywall, vendendo collaterali. Devi costruire un modello di business che sia concreto e realistico. Penso che molte realtà del mondo dei media si mettano nei guai in due modi: annodando il loro destino a una piattaforma social (che per me è una scelta folle) o costruendo magari buoni prodotti ma partendo dal principio che ‘poi un giorno vedremo come monetizzarli’. Mi spiace, gli affari non funzionano così. Se vuoi creare qualcosa che abbia valore, deve essere monetizzabile subito”. 

 

Tutto questo vale per il digitale. E la carta? L’attende il destino del BlackBerry? “Si tratta anche in questo caso di ascoltare il lettore. Se ti dice che è disposto a comprare un giornale e ci si può ancora fare soldi, perché no? Nel momento in cui non ci sono più le condizioni economiche per farlo, però, il mio messaggio ai giornalisti è sempre lo stesso: smettete di essere romantici e di preoccuparvi di come erano le cose una volta. Fate quello che vuole il lettore. Se vi chiede di incidere il giornale su una pietra, va benissimo anche quello. E’ chiaro che arriveremo a un punto, non so quando, in cui l’informazione sarà troppo più semplice da ottenere per via tecnologica per giustificare giornali di carta. Andiamo verso un mondo totalmente digitale. Sarà tra 5 anni? 10? 20? Non ne ho idea. Ma la direzione è quella”.

 

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