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oasi di libertà

La seconda vita di Clubhouse, il social dimenticato che ancora funziona in Russia

Pietro Minto

Appena un anno fa, tutti correvano sul servizio audio-only delle chiacchiere social. Poi gli annunci della concorrenza hanno fatto cadere tutto nel dimenticatoio. Ma in Russia la guerra ha falcidiato il panorama digitale, e l'oblio che aveva colpito Clubhouse si sta rivelando (per ora) la sua fortuna

Da giorni girano sui social le immagini di alcuni grandi magazzini russi, pieni di negozi di catene e brand occidentali con le serrande abbassate per via del boicottaggio. Il web russo somiglia molto a questi luoghi ormai desolati: pieno di app e siti disponibili in tutto il mondo ma di fatto bloccati a chi si collega dalla Russia. Alcuni utenti russi hanno però trovato un alleato in un servizio che appena un anno fa era tra i più discussi del mondo tecnologico e oggi vanta un ruolo di parìa tale da non essere stato interessato dalla censura di Vladimir Putin. Parliamo di Clubhouse, l’applicazione che lo scorso inverno convinceva tutti e sembrava pronta a ridisegnare i contorni del settore tecnologico: un servizio audio-only che serviva per chiacchierare con amici o estranei, organizzandosi in stanze digitali a tema.

  

Appena un anno fa, tutti correvano su Clubhouse (se avevano un iPhone: la versione per Android è arrivata tardi, quando il mondo si era già dimenticato di questa meteora) e sceglievano quale discussione stare ad ascoltare. Influencer, giornalisti, esperti e gente comune, tutti riuniti attorno a questa next big thing, con grandi discussioni sul futuro dell’audio nel mondo dei social. Le cose sono cambiate in fretta con la primavera 2021 e l’allentamento delle restrizioni delle misure anti Covid: le persone potevano stare all’aria aperta con relativa sicurezza e presto smisero di stare chiusi in casa ad ascoltare cyber-diatribe tra estranei. Per quello – sovvenne ai più all’improvviso – c’era il bar.

  

Le conseguenze dell’ascesa e caduta di questo servizio si sono fatte sentire da quando la guerra in Ucraina ha falcidiato il panorama digitale russo, relegando le speranze di connessione dei cittadini a due app: Telegram (che ha soppiantato Whatsapp come chat più usata in Russia, per ovvie ragioni di mancanza di concorrenza) e, appunto, Clubhouse. Quest’ultima, come ha rivelato il giornalista Chris Stokel-Walker sulla rivista online Input, viene ora utilizzata anche da chi vuole informarsi o discutere dell’invasione, spesso con toni molto critici nei confronti del regime russo.

  

Certo, la pacchia non durerà per sempre e ci si aspetta che la morsa del Cremlino arrivi a strozzare anche questo canale di comunicazione. Ma il fatto che tutti si siano dimenticati di questo servizio abbastanza da trasformarlo in un’improbabile oasi di libertà la dice lunga sui meccanismi dell’hype tecnologico. Dopo i primi successi di Clubhouse, Facebook annunciò di essere al lavoro su un clone del prodotto, lo stesso fecero LinkedIn e Twitter. Proprio Twitter ha presentato ormai da tempo il suo esperimento, chiamato Spaces. Sono bastati questi annunci a decretare la fine di Clubhouse, facilmente copiato e sostituito dai giganti del settore. 

 

Anche prima che Putin decidesse di invadere l’Ucraina, però, Clubhouse vantava ancora dieci milioni di utenti. Gli Stati Uniti e i paesi europei sembrano essersene dimenticati, ma il servizio va ancora forte in Asia del sud, dall’India al Nepal, dove il suo utilizzo è esploso proprio con il tardivo lancio dell’app per Android. Qui si usa l’app per recitare preghiere o discutere di finanza e politica, con stanze digitali gremite di utenti. 

 

Clubhouse non è ancora morta, quindi. È stata semplicemente superata e poi dimenticata, in particolare in occidente, e c’è voluta la scomparsa totale della concorrenza per farlo tornare in voga in un paese isolato.

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