Il gioco erotico

Mariarosa Mancuso

Immagini non folgoranti nelle (troppe) 526 pagine del romanzo di Carlo D’Amicis candidato allo Strega

Per la perizia in vista del premio Strega, avviciniamo con curiosità la pagina 69 del romanzo di Carlo D’Amicis. “Il gioco” (Mondadori) è stato sottratto d’ufficio – unico titolo della dozzina che precede la cinquina – ai giurati dello Strega Giovani. In quanto giovani non possono posare i loro occhi innocenti su una storia erotica, non importa quanto YouPorn (e affini) abbiano consumato prima di compiere i sedici anni. Non è prevista l’escalation virtuosa: leggere un porno, prendere atto che i libri non sono solo le noie scolastiche con obbligo di riassunto, leggere qualcos’altro.

 

Curiosità mista a terrore. Secondo Alberto Arbasino, il porno italiano era svantaggiato in partenza, per l’abitudine degli scrittori a usare parole da manuali di anatomia. Aggiungiamo che richiede molta destrezza, ed è rischioso anche per scrittori di genio: perfino Philip Roth, parlandone da vivo, inciampò su un dildo di gomma verde, in “Umiliazione”.

 

“Fica” e “spompinare” sono il magro bottino ricavato da pagina 69. Più un cinemino a luci rosse frequentato da un ragazzino che per corrompere il bigliettaio (leggi: “Cassiere”) infila una banconota da mille lire nei documenti. Speriamo di trovare dell’altro, in questo interrogatorio introdotto dalla parola “libertà”. L’intervistato esita, lo scrittore interviene con puntini di sospensione e indicazioni da filodrammatica, alla voce “imbarazzo”: “Si strofina lentamente le guance. Guarda dentro la tazzina vuota”.

 

Imbarazzato anche il lettore, per quel che legge la riga dopo. C’è un padre morto, e ci sono le sue imposizioni, che “giacevano ai piedi della tomba come un cane senza più padrone”. Immagine non folgorante. Ma si poteva mettere un punto e piantarla lì (lo scrittore si riconosce non solo da quel che scrive, ma soprattutto da quel che taglia dopo averlo scritto). Invece parte l’analogia: “Un cane senza più padrone che non sapevo se sopprimere, nutrire, o abbandonare sul ciglio della strada”. Sesso poco o niente. Se uno scrive un romanzo di 526 pagine magari una vacanza se la può prendere, e le vacanze preferite dagli scrittori italiani sono l’infanzia e l’adolescenza dei personaggi. Però, a proposito: perché tutti scrivete romanzi da cinquecento pagine? Ve li pagano a peso, adesso? Sicuri, voi e il vostro editor, che non c’era nulla di tagliabile, nulla di riassumibile, nulla di eliminabile?

 

Andiamo a pagina 99 dopo aver sbirciato in copertina una variazione sulla donna-violino di Man Ray. Continua l’intervista con i suggerimenti di scena, il personaggio parla e lo scrittore commenta: “Non si capisce se e quanto sia ironico”. Ma di grazia, non dovresti essere tu, scrittore, a riferire le parole del personaggio facendo capire se e quanto sono ironiche? Poi via con i termini tecnici, Si parla di “bull”, ovvero un maschio che agli ordini e per conto di un cuckhold – in italiano “cornuto”, ma suona meno figo – scopa la di lui consorte in gergo chiamata “sweet”.

 

Se non siete pratici soccorrono le note in copertina, dove si evoca per il maschio alfa, o bull – “la disciplina e la meticolosità degli antichi samurai”. Tecnicamente il risvolto non lo possiamo imputare a Carlo D’Amicis, però possiamo invocare una moratoria sui samurai, poveretti, tirati in ballo sempre a sproposito. La frase “Raccogliendo le conchiglie che il grande mare della femminilità deponeva sul mio cammino: scollature, caviglie, unghie smaltate” ribadisce quel che già sapeva il poeta Guido Gozzano. Allora e sempre, il conchigliame fa subito “piccole cose di pessimo gusto”.

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