Lettere

A Torino ci sono anche studenti che non vogliono rompere con Israele

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nel 2007 ebbi il privilegio, con la collaborazione della prof.ssa Sarah Kaminski, di far convergere all’Università di Torino i rettori delle due università di Gerusalemme: quella ebraica e quella islamica. Fu l’occasione per un incontro, in Rettorato, con i direttori di molti dipartimenti dell’ateneo torinese. Un momento per guardarsi negli occhi e capire che la cultura è la vera e più potente arma contro l’odio, che si nutre di ignoranza e bestialità. Ora scopro che in quella stessa sala, in cui si erano stretti accordi, oltre che le mani, si è votato per stracciare alcuni progetti di collaborazione, per chiudere il dialogo. Una deriva pericolosa. E’ stato un po’ come se a vincere, a Torino, fosse il disprezzo che ha armato i macellai stupratori il 7 ottobre. E tutto questo nell’università che fu di Primo Levi. Ironia della sorte, prima di venire a conoscenza della talebanizzazione cui si è prestato il fianco, stavo per inoltrare a colleghe e colleghi il bando dell’Azrieli International Postdoctoral Fellowship destinato a studenti interessati a fare un postdottorato in Israele nell’anno 2024/2025. Un modo per far prevalere la cultura, l’incontro, lo scambio al di là dell’etnia o delle fedi: invece, con questa delibera, è  come se UniTo avesse scelto di fare calare le tenebre e, per di più, di fare da apripista. Ad ogni modo, chi fosse interessato, può trovare maggiori informazioni qui. 

Daniela Santus, Università di Torino

Parole sante (Santus!). Vedo che però a Torino, all’università, non c’è solo oscurantismo. Rilancio con piacere un appello di un gruppo di laureati e studenti dell’Università di Torino “mossi dal dispiacere per la situazione della ‘nostra’ università”. Studenti e laureati che invitano “a firmare questa petizione tutti coloro che hanno a cuore il progresso scientifico della città e del paese”. Qui la lettera: “Siamo laureati e studenti dell’Università di Torino di ogni età e in ogni scienza, si uniscono a noi persone che hanno a cuore il progresso scientifico. Chiediamo al rettore Geuna che l’ateneo mantenga i rapporti con le università israeliane. Questa connessione è fondamentale per la crescita accademica e culturale dei nostri studenti e docenti. Israele è un paese democratico avanzato con alcune delle migliori università al mondo. Ha uno dei più alti tassi di premi Nobel pro capite, dimostrando la sua eccellenza nel campo dell’istruzione superiore. Interrompere questi legami preziosi danneggia non solo studenti e docenti della nostra università, ma anche il progresso della scienza e dell’istruzione e di conseguenza il nostro paese. Si tratterebbe di una decisione leggera e superficiale che nulla ha a che fare con le legittime opinioni personali di alcuni e che alimenta un clima già teso. Noi abbiamo studiato in questa Università, alcuni di noi ancora vi studiano e insegnano, altri semplicemente amano la democrazia. Chiediamo un’università focalizzata sulla ricerca di frontiera e sulla didattica intelligente, che sia sede di libertà di pensiero e fonte di nuovo sapere, non di involuzione”. Si firma qui.


Al direttore - La mia stima va alla professoressa Terracini che, da sola, ha avuto il coraggio di opporsi a questo scempio. D’altra parte, come scriveva Manzoni: “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Il Senato accademico della mia Università, occupato da manifestanti pro Palestina con bandiere palestinesi e striscioni di insulto a Israele, ha votato a stragrande maggioranza lo stop ad alcuni progetti di cooperazione con università israeliane. E’ la prima volta in Italia. Desidero dissociarmi pubblicamente da una decisione che reputo molto sbagliata per molte ragioni. Anche se i manifestanti volevano uno stop generalizzato, è comunque un pessimo precedente aver dato sponda a gruppi composti da molte persone che invocano una Palestina dal fiume al mare, il che si traduce né più né meno che con il vedere Israele sparire dalla faccia della Terra. Spero che ci possa essere spazio per una discussione serena su questi temi, al riparo da indebite interruzioni e conseguenti pressioni anche fisiche, e per un ripensamento.

Riccardo de Caria, Università di Torino


 

Al direttore - Tra: un centro-destra che esprime inaccettabili e gravi posizioni (Lega) su un terreno fondamentale per la credibilità e affidabilità internazionale di un paese, qual è la politica estera; un campo del centro-sinistra che – in alcune elezioni regionali avvenute e altre a breve che verranno e in prospettiva alle europee di giugno – mostra semplicemente, ancor prima che essere stretto o largo o lungo o corto, di non essere neppure un campo; in questo quadro – dico – tutte le forze politiche sembrano dominate dalla cosiddetta politica delle alleanze, con cui valutano, misurano, calcolano il loro grado di controllo e influenza nelle dinamiche e giochi di accordi politico-partitici per eventuali liste o listini o fronti o frontini, in rapporto ai vari appuntamenti elettorali. Capisco che, sul piano locale, i vari contesti territoriali possano indirizzare verso un tipo di alleanza piuttosto che un’altra, ma sul piano nazionale e, soprattutto, della competizione per le europee – per le quali, tra l’altro, si voterà con il proporzionale, sia pure con sbarramento – non ci siamo proprio, a mio parere. Come non vedere che, per le elezioni europee, oggi non è il tempo della ricerca delle alleanze (questo verrà, certo, ma non è ora) quanto piuttosto del coraggio delle scelte politico-strategiche di contenuto che caratterizzino e posizionino con trasparenza i vari partiti italiani sulla natura esistenziale dell’interrogativo che l’Europa ha dinanzi a sé? Ovverosia: come rispondere alla guerra che è nel cuore del nostro continente? Forse, in tal senso, qualche risposta si può trovare nell’ottimo articolo di Carmelo Caruso (il Foglio 19/3) “La noia di Mario Draghi”, almeno per quel che concerne le figure indispensabili che dovrebbero guidare l’Europa difficile che verrà.  

Alberto Bianchi
 

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