Lettere

Il popolo non ha sempre ragione, il Parlamento di solito sì

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - In presenza della cangiante serie di cifre  pubblicate per i diversi impatti del Superbonus del 110 per cento sarebbe importante rifarsi a una decisione adottata in passato in materia di conti pubblici. In occasione dell’insediamento del secondo governo Berlusconi, scoppiata una querelle su di un extradeficit ereditato, alla fine si decise di costituire una commissione con Istat, Ragioneria generale dello stato, Banca d’Italia, Corte dei conti per fornire cifre esatte e definitive. Il risultato fu ampiamente condiviso. Le cifre confermarono, alla fine, quelle in precedenza prodotte dalla Banca d’Italia. Nel nostro caso vi sarebbe pure da includere, ovviamente, l’Ufficio parlamentare di bilancio. Bisognerebbe valutare il  “dare” e l’“avere”, l’onere per il bilancio, da un lato, gli impulsi esercitati, innanzitutto sul pil. Ciò al di là delle discussioni sul fondamento di un’incentivazione che superi il 100 per cento. Sarebbe una grande operazione di indipendenza, trasparenza e correttezza.
Angelo De Mattia


 

Al direttore - Caro Cerasa, la democrazia italiana è malata? Diciamo che, come il suo fondamento (la separazione dei poteri), non se la passa bene: “Il governo è diventato legislatore. Il Parlamento è diventato amministratore. I giudici esercitano funzioni amministrative, occupando gli uffici del ministero della Giustizia, e la funzione legislativa con la loro presenza nei gabinetti ministeriali” (Sabino Cassese). Per altro verso, la transizione iniziata con il referendum sulla preferenza unica (1991) non si è mai conclusa. La battaglia contro le degenerazioni del parlamentarismo si è caricata di un significato palingenetico e persino morale, in virtù di un’analisi che attribuiva al proporzionalismo la responsabilità della partitocrazia, fonte di ogni corruzione, clientelismo e arretratezza, nonché dell’insostenibile debito pubblico. Si è così affermato un movimento d’opinione giustizialista, che individuava nei referendum elettorali la leva decisiva con cui passare dalla “democrazia dei partiti” alla “democrazia decidente”, garantita appunto dal maggioritario e da un bipolarismo di coalizione. Il risultato è stato che ogni banale crisi di governo si è trasformata in una crisi di sistema. Motivo per cui le forze politiche, quando non erano impegnate a sfidarsi sulla legge elettorale, lo facevano sulla riforma della Costituzione, dove ogni tentativo di larga intesa, dalla “Bicamerale D’Alema” (1997) al “referendum Renzi” (2016), ha suscitato proteste clamorose, con toni da guerra civile, che ne hanno sempre decretato il fallimento. Da ultimo: i fatti dicono che la stagione del maggioritario è stata avara di risultati non soltanto sul terreno dei mezzi (la governabilità), ma anche su quello dei fini (le riforme di struttura, come si chiamavano una volta, economiche, sociali e istituzionali). In un testo inedito (e profetico) del 2005, Giovanni Sartori scriveva: “[…] Non è vero che il popolo ha sempre ragione. Spesso ha torto. Il principio della democrazia è che ha (il popolo, s’intende) il diritto di sbagliare. Ma se sbaglia troppo e troppo spesso, allora la democrazia è nei guai. Guai che oggi sono aggravati dalla incompetenza dei competenti. La democrazia doveva essere una ideocrazia e, come tale, deve essere capita. Invece è sempre più una repubblica di asini raglianti. E una democrazia spiegata e guidata da asini raglianti non può funzionare. Per ora, siamo salvati dal principio di legittimità. Ma fino a quando?” (“La rappresentanza politica”, Biblioteca del Senato). Vent’anni dopo, la domanda è sempre la stessa: fino a quando?
Michele Magno

Le degenerazioni del parlamentarismo hanno permesso all’Italia, nella scorsa legislatura, di passare da un governo ultra estremista (Conte I) a un governo ultra europeista (governo Draghi), consentendo all’Italia di diventare per due anni il paese con la più alta crescita d’Europa. Il popolo non ha sempre ragione ma il Parlamento di solito sì.

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