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Lettere

Lo “straordinario esperimento” dei medici cubani in Calabria: schiavitù o un colpo al regime?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nostalgie sindacali: “Quanto a me, mi rifiuto di pagare al bar un caffè tremila lire, perché io ragiono ancora in lire” (Maurizio Landini, intervista alla Stampa, martedì 5 settembre). 
Michele Magno


Al direttore - Nell’agosto del 2022 firmavo presso la sede dell’ambasciata della Repubblica di Cuba a Roma un accordo con la Comercializadora de Servicios Medicos Cubanos S.A. per la fornitura di servizi medici e sanitari alla Calabria. Un accordo che mi avrebbe permesso di portare nella mia regione fino a 497 medici in tre anni. Al momento i medici cubani arrivati in Calabria sono 171: i primi 51 hanno iniziato a lavorare nei nostri ospedali nel mese di gennaio 2023, altri 120 sono in corsia da metà agosto. Perché ho deciso di ricorrere a questa soluzione emergenziale? Certamente non perché “i medici locali non hanno voglia di lavorare”, frase che non ho mai pronunciato, ma semplicemente per non chiudere i nostri ospedali e i nostri reparti. La Calabria ha fatto negli ultimi anni e sta continuando a bandire concorsi su concorsi per l’assunzione a tempo indeterminato di medici e personale sanitario. Ma la carenza di camici bianchi è ormai patologica in tutto il paese, e per una regione come la mia, con un sistema sanitario distrutto da 12 anni di commissariamento, attrarre medici è ancor più complesso rispetto ad altre e più attraenti realtà nazionali. Ho detto “no” e ho denunciato per primo in Italia il fenomeno dei medici a gettone, professionisti che tramite cooperative specializzate offrono prestazioni facendosi pagare anche 150 euro all’ora, 1.200 euro a turno. Io non mi posso permettere di sperperare risorse pubbliche distraendole dai normali servizi per la cura dei cittadini. Ecco dunque come è nata l’iniziativa di portare in Calabria i medici cubani. Una decisione forte, che inizialmente ha ricevuto le critiche di ordini e corporazioni, ma che oggi è un modello positivo che tanti aspirano a imitare. Numerosi governatori mi hanno contattato per provare a emulare ciò che ho fatto, chiedendomi aiuto e consigli. I medici cubani in Calabria sono stati un successo. Per i nostri ospedali, per i loro colleghi italiani, per la cittadinanza. I camici bianchi caraibici sono stati splendidamente accolti dalle comunità locali, dai sindaci, il loro arrivo è stato spesso suggellato da feste di benvenuto e da momenti conviviali. Non vedo alcun pericolo schiavitù. 
L’accordo che ho sottoscritto con la Comercializadora de Servicios Medicos Cubanos S.A. è molto chiaro e nella sua versione definitiva, quella che regola la presenza dei medici cubani in Calabria, prevede che i 4.700 euro lordi del compenso siano interamente corrisposti, su conti correnti italiani, ai professionisti caraibici: la regione non versa alcun euro al governo cubano, non esiste il “pizzo” del quale scrive il suo giornale. Se qualche ong – organizzazioni che a volte frequentano più i dorati forum come quello di Miami, piuttosto che le aree periferiche delle regioni maggiormente in difficoltà – pensa che i medici cubani siano sfruttati ha la facoltà di denunciarci, e la Corte penale internazionale ha il dovere, come atto dovuto, di approfondire. Ma, gentile direttore, le posso assicurare che i medici cubani arrivati in Calabria non sono stati vittime né di tratta di esseri umani, né di schiavitù, né di fantomatiche persecuzioni. Abbiamo aperto le porte dei nostri ospedali a decine di media nazionali e internazionali che in questi mesi hanno raccontato con grande curiosità questo straordinario esperimento. Tutti hanno potuto constatare la serenità e il lodevole spirito di servizio con i quali questi professionisti stanno operando nella nostra regione. Ringrazierò per sempre i medici cubani per la loro passione e il supporto fondamentale che stanno dando al sistema sanitario calabrese.

Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria

C’è un mistero. La risoluzione 168 del 2010 del ministero del Commercio internazionale e degli investimenti esteri di Cuba, come abbiamo scritto tempo fa sul Foglio, impone a tutti i dipendenti civili che lavorano all’estero per lo stato o per imprese statali, incluso il personale medico, obblighi e doveri precisi. Le offriamo un esempio: il codice penale cubano, tanto per dirne una, punisce con una pena detentiva di otto anni tutti i dipendenti civili che non completano le missioni mediche o che decidono di non fare ritorno a Cuba e le stesse missioni mediche sono state classificate come una forma moderna di schiavitù secondo la Commissione interamericana per i diritti umani (Iachr). Infine, il 16 settembre del 2021, il Parlamento europeo ha firmato una risoluzione in cui denuncia il fatto che “lo stato cubano continua a violare sistematicamente i diritti umani e il diritto del lavoro del suo personale sanitario in servizio all’estero nell’ambito di missioni mediche, il che porta le Nazioni Unite a equiparare tali missioni a una forma di schiavitù moderna”. 
Lei oggi dice che la sua regione ha agito in modo diverso e che quei soldi finiscono tutti nelle tasche dei cubani. Ce lo auguriamo (voi pagate loro, ma siete sicuri che loro non siano costretti a girare i soldi allo stato da cui provengono? Come dovrebbe sapere, e come sanno i cubani costretti a emigrare a Miami, all’Avana c’è una dittatura). E se così fosse quando la Corte penale internazionale approfondirà il caso potrà rivendicare di aver dato un colpo mica male al regime cubano. Un caro saluto.

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