I sindacati che pensano solo al presente e i nemici interni al Csm

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - 
Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Come è andato lo sciopero generale è scritto a chiare lettere nell’entusiastico comunicato degli organizzatori: un successo, con punte dell’85 per cento… E quel “punte” la dice lunga.
Valerio Gironi

 

A questo proposito credo vi sia un punto cruciale, notato con intelligenza su Twitter dalla nostra amica Veronica De Romanis. Il punto è questo. Landini, due giorni fa, si è posto questa domanda:  “Molti hanno detto che questo sciopero non si doveva fare perché la manovra è espansiva. Ma la domanda da fare è: espansiva per chi?”. Landini dovrebbe sapere che una delle ragioni per cui il governo ha destinato tutto sommato pochi miliardi alla riduzione della pressione fiscale è legata al fatto che il governo ha detto di sì a molte richieste del sindacato (otto miliardi sull’assegno unico, un miliardo in più per il Reddito di cittadinanza, tre miliardi in più per gli ammortizzatori sociali). Ma quello che Landini dovrebbe chiedersi, nota De Romanis, non è tanto “espansiva per chi”, ma è “espansiva a spese di chi”. Ovverosia: chi pagherà questa espansione del debito? La risposta è sempre quella: i giovani. E la questione è sempre la stessa: più i sindacati combatteranno battaglie focalizzate sul presente e meno i sindacati si mostreranno all’altezza di difendere il nostro futuro.  



Al direttore - “Tempi bui sia per gli intellettuali, sia per i mezzi di cui si valgono per farsi ascoltare. Se ‘uno vale uno’, l’uno vale l’altro, non c’è differenza tra il sapiente e l’ignorante. Se tutti possono dialogare con tutti, se internet dà voce a due terzi degli abitanti del pianeta, se i media tradizionali (one to many), di cui di solito gli intellettuali si valgono per raggiungere il proprio pubblico, sono in crisi, chi ascolta gli intellettuali? Dobbiamo rassegnarci al trionfo degli apedeuti, come veniva chiamato nella Francia dell’Illuminismo chi, non capace o non incline a seguire un corso severo di studi, congiura a screditare il sapere, così facendosi un merito della propria ignoranza? Si può ritenere che la figura dell’intellettuale sia ancora riconosciuta? Gli intellettuali sono ascoltati o messi ai margini?” (Sabino Cassese, “Intellettuali”, il Mulino, 2021). Come diceva Oscar Wilde, solo buone domande meritano buone risposte.
Michele Magno


 

Al direttore - Un dato, poco sottolineato, emerge chiaramente dalle decisioni del direttivo della Bce di giovedì, commentate efficacemente in un editoriale del Foglio: si tratta dell’abbandono, da parte della presidente Christine Lagarde, dell’aggettivo transitorio, ripetutamente adottato in questi mesi, per qualificare l’aumento dell’inflazione e rassicurare sul non mutamento del carattere accomodante della politica monetaria. Ora si pensa, invece, che l’aumento non sia così breve, anche se nel corso del prossimo anno si potrà registrare un qualche ribasso. Ma le previsioni sono di un’inflazione al 3,22 per cento nel 2022, dunque lontane dal target del 2 per cento simmetrico che sancisce il raggiungimento della stabilità dei prezzi. In questa situazione, l’operare del banchiere centrale si fa più difficile: da un lato, sarebbe stato importante, vista la recrudescenza della pandemia con Omicron in particolare, non decidere definitivamente per la fine, a marzo, del Pepp, il Programma pandemico di acquisto di asset, anche se la decisione è bilanciata dall’altro programma di acquisti di obbligazioni, l’App, che viene incrementato; dall’altro, bisognerebbe comunque prepararsi a un aumento dell’inflazione che risultasse definitivamente non limitato sia pure a un più ampio arco temporale. Di qui l’importanza di un coordinamento tra politica monetaria e politiche economiche e di finanza pubblica che, soprattutto da paesi come l’Italia, con alto debito, andrebbe proposto e sostenuto. Confidare in una funzione di lungo periodo della Bce in chiave surrogatoria sarebbe un grave errore. Con i più cordiali saluti. 
Angelo De Mattia


 

Al direttore - Dice giustamente Enrico Costa, deputato di Azione, che “l’aspetto decisivo da stravolgere nella riforma del Csm è quello relativo alla valutazione di professionalità dei magistrati”, perché “dal 2017 a oggi le valutazioni negative sono state in totale 35 (0,5 per cento), quelle non positive 24 (0,3 per cento) e le positive sono state 7.394 (99,2 per cento)”. Ne usciremo mai?
Luca Martoni

Ne usciremo solo quando il Consiglio superiore della magistratura smetterà di essere un organo di autotutela e tornerà a essere finalmente un organo di autogoverno. E quando ci si interroga su quali siano i nemici della magistratura all’interno di un paese ci si dimentica spesso di offrire la più corretta delle risposte: i magistrati stessi, purtroppo.
 

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