Angela Merkel e Olaf Scholz (Ansa)

Lettere

Non distinguersi dagli avversari ma rivendicare l'agenda. Lezione dalla Germania

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - L’unione “Cdu/Csu” paga lo scotto del ritiro di Angela Merkel. Resta tuttavia una forza determinante nella vicenda politica tedesca. La Spd è premiata per essersi assunta coraggiosamente responsabilità di governo in anni difficili per l’Europa e la Germania e averlo rivendicato anche quando appariva impopolare. Gli elettori tedeschi premiano la serietà e la competenza nel governare e la netta distinzione sempre affermata dalla Spd verso la demagogia di formazioni  politiche estremiste. Il successo della Spd è accolto con gioia da tutti coloro che hanno sempre guardato con fiducia anche nei momenti di amarezza al socialismo democratico e liberale e alla storia gloriosa della tradizione socialdemocratica di Germania.
Umberto Ranieri

Ieri il Financial Times ha dedicato un’analisi interessante alla vittoria di Scholz, sostenendo che il leader dell’Spd sia riuscito a vincere le elezioni presentandosi come l’erede naturale di Angela Merkel. “Poiché la Merkel non si è candidata, l’Spd – ha detto al Financial Times Andrea Römmele, docente di Comunicazione  alla Hertie School di Berlino – è stata in grado di prendersi il merito di tutti i successi ottenuti dalla Merkel al governo, cosa che la cancelliera avrebbe rivendicato per se stessa se si fosse candidata”. Lezione interessante. Per trasformare in oro la coabitazione con gli avversari politici all’interno di una grande coalizione non è necessario distinguersi dagli avversari ma è necessario ingaggiare con gli avversari una competizione finalizzata a rivendicare con più forza dell’altro i successi ottenuti dal proprio governo. Esserci, in un governo, non per distinguersi ma per rivendicare l’agenda. A qualcuno in Italia staranno fischiando le orecchie. 



Al direttore - Condivido in misura crescente la linea del suo giornale, caro Claudio, a proposito del prossimo inquilino del Quirinale. È necessario “mettere in sicurezza” Mario Draghi per i prossimi sette anni. La sua elezione alla presidenza della Repubblica garantirebbe molto di più il futuro prossimo del paese, che non le promesse scritte sull’acqua di mantenere Draghi a Palazzo Chigi a tempo indeterminato. Draghi poi saprebbe scegliere un successore adeguato, come Giancarlo Giorgetti, ad esempio; il quale non si limiterebbe a guidare il paese con serietà e rigore lungo il percorso del Pnrr, ma assicurerebbe anche la continuità del disegno politico per la cui realizzazione Sergio Mattarella ha portato Draghi alla presidenza del Consiglio.
Giuliano Cazzola


 

Al direttore - Se la transizione ecologica ha necessità di un orizzonte temporale medio-lungo per realizzarsi, ci sono almeno tre scadenze importanti e da comprendere appieno affinché la conversione si realizzi al meglio. Sono le date del 2026, del 2030 e del 2050. La prima corrisponde alla fine del Pnrr, la seconda coincide con l’obiettivo del 55 per cento in meno di emissioni, la terza collima con il raggiungimento della neutralità carbonica. Davanti a noi abbiamo circa trent’anni di duro lavoro per limitare il riscaldamento globale a 1,5ºC, proprio come chiedono gli accordi di Parigi. Per l’Italia il primo passo verso la transizione ecologica è attuare al 100 per cento quanto riportato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per raggiungere il 55 per cento di tagli di CO2eq nel nostro paese entro il 2030 dobbiamo installare 70 GW di rinnovabili. La domanda è: come facciamo a installare circa 8 GW/anno di rinnovabili quando negli anni precedenti ne abbiamo installate solo 0,8 GW/anno? Per arrivare a una risposta il dibattito deve incentrarsi su come abbattere la burocrazia che attanaglia il nostro paese e come riavvicinare i cittadini alle istituzioni giacché esistono proteste anche per semplici impianti di compostaggio. Questa è l’urgenza. Il secondo passo avverrà nel 2030 quando servirà un altro piano. Arrivati a quella data sarà la ricerca scientifica a dirci che strada percorrere. Nel 2030 potremmo utilizzare le innovazioni nel campo degli accumulatori per l’energia da fotovoltaico ed eolico, scoprire se, come dice l’Eni, la fusione nucleare sarà vicino a diventare realtà, se i reattori di quarta generazione per la fissione nucleare saranno davvero come li racconta il ministro Cingolani e se qualche altra scoperta scientifica ci indicherà un’altra strada ancora. Il nostro impegno oggi è di rendere reale quanto scritto nel Pnrr finanziato fino al 2026 per raggiungere gli obiettivi comunitari al 2030 e poi avvalersi degli sviluppi tecnologici per preparare il secondo step fino al 2050. Si chiama transizione (ecologica) perché è un processo abbastanza lungo ma va fatto e bene. Pena il disastro.
Massimiliano Iervolino, segretario di Radicali Italiani

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