Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Lettere

Brillanti promesse, Agamben e venerati maestri. Medici e Covid

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Può trasmettere a Vincenzo Pinto, che non ho il piacere di conoscere, una regolare proposta di matrimonio? Ha scritto qui ieri che Agamben è “uno dei personaggi più discussi del mondo culturale e pubblico italiano negli ultimi diciotto mesi”. Un genio della controvanità. Grazie.
Giuliano Ferrara

Non ricordo più, a proposito del discusso filosofo, cosa c’è tra le brillanti promesse e i venerati maestri.

 

Al direttore - L’infaticabile Monica Cirinnà va dicendo che il green pass metterebbe in difficoltà i transessuali perché nel documento risulterebbe l’aborrito e negletto sesso anagrafico. Il fatto è che “galeotto” e rivelatore sarebbe anche l’esito del tampone. Che fare allora? Ci può assicurare la senatrice Cirinnà che a rendere immuni al virus basti  l’identità di genere?
Giuliano Cazzola

Urge al più presto un green pass anche contro le scemenze, grazie.

 

Al direttore - Il Conto annuale dello stato 2019 ha mostrato rispetto al 2009, anno di maggiore espansione delle dotazioni organiche nel Servizio sanitario nazionale, una riduzione di circa 6.000 unità dei medici dipendenti. In più, un recente studio dell’Anaao Assomed  quantifica in oltre dieci milioni  le ore di straordinario “regalate”  ogni anno dai medici alle aziende sanitarie. I due dati indicano il credito che i medici vantano per i mancati investimenti nel turnover e per gli straordinari solo parzialmente retribuiti e difficili da recuperare proprio per la carenza di personale. Si tratta di circa un miliardo di euro che ogni anno rimane nelle casse delle aziende sanitarie.  Questa generosa elargizione è destinata, senza una ripresa delle politiche occupazionali, a un cospicuo incremento nei prossimi anni, visto che la pandemia ha aumentato drammaticamente i carichi di lavoro non solo per far fronte ai pazienti che arrivano in ospedale perché affetti da forme severe di Covid-19,  ma anche per l’accumularsi  di un immenso arretrato  di ricoveri o prestazioni  diagnostiche e terapeutiche per le patologie “ordinarie” che ha interessato milioni di cittadini, purtroppo messi da parte durante le ondate epidemiche per le note carenze di personale e posti letto (-41 mila nell’ultimo decennio) tanto da determinare un eccesso di mortalità extra Covid nel 2020, rispetto alla media degli anni precedenti, di circa 25 mila unità. Il disagio dei professionisti rischia di  diventare sempre più insostenibile.   Conciliare vita lavorativa e privata diventa quasi impossibile. Nello studio dell’Anaao Assomed, ben il 78 per cento dei professionisti afferma che l’impatto del lavoro sulla vita privata è rilevante e circa il 42 per cento di loro considera lo stress lavorativo elevatissimo. I medici si sentono in colpa se cadono malati, le colleghe arrivano a procrastinare i progetti di maternità per non lasciare sguarniti i reparti. Tutto questo è peggiorato durante la pandemia per far fronte alla nuova organizzazione del lavoro, con turni di servizio anche di 24 ore, senza riposi settimanali e sospensione delle ferie. Così agli straordinari non retribuiti si aggiungono cinque milioni di giorni di ferie arretrate accumulate negli ultimi anni. Un valore economico valutabile in 1,4 miliardi di euro. A causa del  durissimo impegno quotidiano, si rischiano conseguenze fisiche e psicologiche a lungo termine, acuite ulteriormente dalla persistente mancanza di riposo.  Il forte impegno da parte di tutti i professionisti ospedalieri, benché giustificato dalla straordinarietà della situazione, non può non farci riflettere sulle ricadute in termini di sicurezza delle cure  che è fortemente correlata a dotazioni organiche adeguate. In caso di carenza, aumentando in maniera abnorme i carichi di lavoro ed  essendo erosi i tempi di riposo e recupero, i livelli di sicurezza si abbassano. Il Pnrr può essere  l’occasione per un progetto di riforma del Servizio sanitario nazionale. Eppure, sino a ora, non ha coinvolto a pieno titolo i professionisti della salute, che sono i veri cardini del sistema.  Per questo le sigle sindacali dell’area medica, insieme con la FnomCeo, hanno chiesto un tavolo di confronto  perché i processi di riforma non siano appannaggio di “pochi” ma si avvii un dibattito nel paese. Il Pnrr interviene sulle strutture per renderle più sicure e sulle tecnologie sia diagnostiche sia informatiche, ma non contempla un progetto ad hoc per le professioni.  Ciò che più colpisce è, infatti, l’assenza di  ogni riferimento  a quel capitale umano che delle organizzazioni complesse, come la sanità, rappresenta la maggiore risorsa. Senza di esso, i presìdi ospedalieri, ancorché antisismici, sono destinati a essere quinte teatrali, le nuove tecnologie elementi di arredo, il territorio puro riferimento geografico. E’ evidente la contraddizione tra la scelta di allocare risorse e politiche del capitale umano che non la seguono. Lo scatto che serve alla sanità oggi è un’innovazione profonda dell’organizzazione e della governance per valorizzare il suo capitale umano, in una rotta nuova per la quale certamente servono risorse economiche, ma anche una merce altrettanto preziosa, per quanto più accessibile, come la volontà politica. Il lavoro dei medici del Ssn reclama oggi un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. La rivoluzione copernicana, di cui giustamente parla il ministro Speranza, deve partire da qui e ora. Pur riconoscendo due importanti interventi degli ultimi governi – uno economico, con l’aumento dell’indennità di esclusività di rapporto nella legge di Bilancio 2021 e l’altro programmatorio, con il recente aumento dei contratti di formazione post laurea portati a 17.400 per il prossimo concorso – resta ancora molto da fare. E’ arrivato il momento di chiedere  al  governo e alle istituzioni l’impegno concreto per garantire alla sanità pubblica la forza lavoro di cui ha bisogno e per scongiurare il rischio di un’altra pericolosa epidemia: la fuga dei professionisti dagli ospedali verso il privato o l’estero alla ricerca di condizioni di lavoro meno disagiate, più remunerative e con maggiore valorizzazione professionale. Alcuni strumenti  si potrebbero rapidamente mettere in campo, ma richiedono precise scelte politiche: 1) stipula  entro l’anno del contratto di lavoro 2019/2021  dei medici e dirigenti sanitari per costruire le regole condivise e i confini dell’organizzazione del lavoro; 2) assunzioni stabili per ridurre i carichi di lavoro, rimuovendo il limite al tetto di spesa per il personale del Ssn  (addirittura quello del 2004 ridotto dell’1,4 per cento) e i limiti della legge Madia per la stabilizzazione dei precari e la formazione dei fondi per la retribuzione accessoria; 3) interventi economici specifici per eliminare o almeno ridurre il differenziale dello stipendio tra i medici e dirigenti sanitari italiani ed europei che oggi arriva a 40 mila euro.
Carlo Palermo
segretario nazionale Anaao Assomed

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