Il virus tra uova e peli. Merkel a Conte: Di Maio mi ha parlato di lei…

Le lettere al direttore del 14 luglio 2020

Al direttore - Merkel a Conte: Di Maio mi ha parlato bene di lei.

Giuseppe De Filippi


   

Al direttore - Nell’intervista al ministro Speranza non ho trovato traccia di risposta, e a dire il vero neppure di domanda, sulla questione centrale del modo in cui è stata gestita la pandemia in Italia. Sinteticamente, la questione dei tamponi; più precisamente, la questione dei dati. E’ chiaro, da decine di testimonianze professionali, da dichiarazioni di persone che hanno avuto la malattia, che i tamponi sono stati per lungo tempo razionati. Il Prof. Crisanti afferma che il buon risultato del Veneto è dovuto al suo avere contraddetto ordini precisi sulla limitazione dell’uso dei tamponi. Ricorderà, caro direttore, che all’inizio la cosa era stata giustificata con ragioni non propriamente cliniche, evitare cioè di presentare un quadro di contagio peggiore dei nostri vicini europei. Sull’argomento il Foglio ha pubblicato tre articoli a firma di Natale D’Amico e mia (1° aprile, 17 aprile, 16 giugno). Le indagini campionarie raccomandate da due presidenti emeriti dell’Istat non sono state eseguite. Secondo Luca Ricolfi (sull’Huffington Post), “il governo, che avrebbe tutto l’interesse a fare tamponi a tappeto per portare i contagi vicino allo zero prima dell’autunno, non fa nulla lasciando che le regioni ne facciano pochi pur di evitare di scoprire troppi nuovi casi in questa fase”. Il razionamento dei tamponi ha avuto e avrà conseguenze anche sul numero dei contagiati. Chi dà gli ordini, il ministero o le regioni? Il presidente Conte, che intende chiederlo, ritiene che “ragionevolmente lo stato di emergenza sarà prorogato”. Quanto ragionevole è chiedere la proroga se non si vuole fare quanto è necessario per misurare l’emergenza?

Franco Debenedetti

  

Il tema dei tamponi è certamente importante e sono sicuro che se l’Italia avesse scelto di estendere a tutto il resto del paese il metodo Crisanti la pandemia sarebbe stata gestita ancora meglio di come è stato fatto (e scrivo “ancora” perché nonostante tutto resto convinto che l’Italia abbia dato prova di essere un grande paese). Ma mi permetto di farle notare, caro Debenedetti, che una volta individuato il pelo nell’uovo, che c’è, bisognerebbe poi concentrarsi a guardare bene l’uovo. E se si sceglie di osservare l’Italia da questa prospettiva ci si renderà conto che il disastro non c’è e che buona parte dei problemi con cui ha fatto i conti il nostro paese coincide con lo stesso tipo di problemi con cui ha dovuto fare i conti il resto del mondo. Ieri, per esempio, è stato pubblicato uno studio dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano che ha analizzato i tassi ufficiali di mortalità per Covid-19 in nove ambiti metropolitani occidentali con caratteristiche simili per demografia, attività commerciali e spostamenti di persone. Dallo studio emerge che i tassi di mortalità grezzi più elevati che ha registrato la Lombardia sono nella media europea se si considerano le differenze tra le età medie delle varie regioni analizzate. In altre parole, la percentuale di anziani in Lombardia corrisponde al doppio rispetto a quella presente nelle regioni europee più colpite dalla pandemia e la ragione dell’alta mortalità nel nostro paese è imputabile più a questo che al presunto disastro del sistema Italia.


 

Al direttore - Insomma, pare che la concessione per le autostrade vada revocata, ma quelle balneari vadano prorogate, così come quelle aeroportuali. Dal più piccolo bar nei giardini pubblici di provincia fino ai Benetton, ciò che guida i rapporti fra potere pubblico e concessionari privati non sono la legge e lo stato di diritto, e men che meno l’interesse di cittadini, consumatori e risparmiatori. Rileva solo il consenso elettorale, l’amicizia con i potenti e la popolarità della scelta politica, nel momento in cui la si assume. Tutela e promozione degli investimenti, concorrenza e innovazione sono parole sconosciute nel dibattito tribalizzato. Per non parlare degli interessi di decine di migliaia di piccoli risparmiatori che hanno investito in Atlantia. Ora la nuova trovata arguta del populismo di stato è eludere il problema della revoca della concessione (che costerebbe almeno 7 miliardi, un quinto dell’eventuale ricorso al Mes) dicendo che l’azienda Autostrade può restare, ma devono andarsene i Benetton dalla proprietà. Un “esilio” finanziario del principale azionista, in stile Romanov cacciati dal palazzo d’Inverno. E chi subentrerà? La sempreverde Cassa depositi e prestiti? La solita cordata “coraggiosa” e raffazzonata? Il messaggio che questa Italia sta dando a chi nel mondo ha due euro da investire è impietoso: andate altrove, qui vi fregano.

Piercamillo Falasca


 

Al direttore - Ritorna l’accezione più dura, per l’Italia, del “vincolo esterno”? Non che questo non esista già nella versione delle regole europee. Ma le diverse e, a volte, autorevoli dichiarazioni favorevoli sui vincoli e gli impegni per le riforme che saranno imposti per l’adesione al Recovery fund – e, prima ancora, per l’eventuale ricorso al Mes – sembrano quasi mettere al primo posto queste condizioni quasi salutate come un’occasione straordinaria per affermare rigore e tempestività nella politica economica nazionale. Se ne avverte l’eco anche nei suoi interventi. Ricordo che negli anni Novanta del Novecento Carlo Azeglio Ciampi paragonava il vincolo esterno al chiodo infisso nella roccia sul quale passa la corda dello scalatore: può favorirne la scalata facendolo arrivare alla vetta oppure, se compie manovre maldestre, strozzarlo. Siamo ancora a quella metafora? E/o all’altra di Antonio Fazio, secondo la quale la nostra economia, già agli inizi del Duemila, soffriva di bradisismo, lentamente e continuamente arretrando, in tutti gli indicatori rispetto ai principali partner europei? Quasi trenta anni trascorsi per ritrovarci al punto di prima? Ma se è così, altro che fare appello agli ex presidenti del Consiglio. La priorità assoluta sarebbe operare per un radicale cambiamento di uomini e di politiche. “Vaste programme”? Occorre per forza essere legati metaforicamente alla sedia come Vittorio Alfieri, per andare avanti? Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

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