Cosa vuol dire essere fuori come un citofono. Capone vs Capone

Al direttore - Dal Papeete al citofono: ma Salvini è un situazionista?

Michele Magno

 

Una cosa buona però c’è: martedì sera abbiamo finalmente capito cosa significhi l’espressione “essere fuori come un citofono”.

 


 

Al direttore - Ho letto la riflessione dell’ottimo Luciano Capone (peraltro mio omonimo), sul Foglio di ieri e la condivido nella parte in cui critica la proposta di Cgil, Cisl e Uil che consentirebbe l’uscita dal lavoro con soli 20 anni di contributi e senza ricalcolo contributivo. In effetti, questa proposta sembra banalizzare la “questione pensioni’ poiché penalizzerebbe chi già è andato in pensione e, soprattutto, le giovani generazioni che così dovrebbero lavorare fino a tarda età per pagare le pensioni ai nuovi baby pensionati. Si tratta, appunto, di una proposta eccessivamente onerosa. Quota 100, invece, evidenzia equilibrio ed equità, restituendo finalmente al mercato del lavoro una certa mobilità, oggi relegata solo agli alti livelli e allo stesso tempo consente di affrontare in modo decisamente più adeguato i due problemi cardine del sistema previdenziale: la sostenibilità dal punto di vista finanziario e l’adeguatezza dell’assegno pensionistico. Per favorire quest’ultimo aspetto è necessario aumentare la flessibilità in uscita, come ha fatto quota 100 che ha il merito di aver allentato i vincoli posti dalle riforme più recenti, nella convinzione che esse abbiano di fatto reso impossibile un ricambio generazionale, invece necessario. Con la riforma dello scorso anno si è introdotta quella libertà per cui un lavoratore, a una certa età, può scegliere con incentivi o disincentivi, se continuare a lavorare o “andare a riposo”: pensiamo a chi fa lavori “gravosi”, o semplicemente a chi vuole dedicare il restante tempo della propria vita a “fare altro”, nella speranza di una longevità attiva. Inoltre, quota 100 ha il merito di offrire alle imprese alcune opportunità: basti pensare ai processi di ristrutturazione o al turnover aziendale che consentono alle stesse di fronteggiare meglio le sfide imposte dalla competitività e dall’innovazione dei processi produttivi.

Al di là dell’ormai annoso dibattito sulle pensioni, ritengo che il nostro paese per crescere abbia urgente bisogno di “buona occupazione”. Occorre dare ai lavoratori le giuste competenze, in grado di inserire in maniera stabile le nuove generazioni nel mondo del lavoro e garantire produttività al nostro sistema industriale. Per tale ragione, le ultime misure del governo riguardanti il taglio del cuneo fiscale, considerata la loro entità, sembrano inutili e soprattutto invisibili in busta paga. Il problema, ancora una volta, è quello di creare occupazione, riformando a fondo il nostro sistema di formazione che è caratterizzato da un’istruzione staccata dal mondo del lavoro e da servizi per l’impiego inadatti a favorire l’incontro tra domanda e offerta. In questa prospettiva, l’Ugl è pronta a contribuire alla modernizzazione del nostro paese, nella piena valorizzazione del lavoratore.

Francesco Paolo Capone, segretario generale Ugl

Mi scusi, gentile Capone (bel cognome!), ma se avesse letto con più continuità Capone nelle ultime settimane avrebbe scoperto facilmente che l’idea che quota 100 avrebbe restituito finalmente al mercato del lavoro una certa mobilità è un’idea che esiste solo in un’economia da Alice nel paese delle meraviglie. Se le fosse sfuggito, l’ultimo Bollettino di Bankitalia dice che i pensionamenti anticipati previsti da quota 100 non faranno aumentare l’occupazione e le valutazioni di Bankitalia “indicano che le maggiori fuoriuscite dal mercato del lavoro connesse con le nuove forme di pensionamento anticipato (quota 100) verrebbero solo parzialmente compensate da assunzioni: l’impatto di queste misure sull’occupazione complessiva sarebbe nell’ordine di -0,4 punti percentuali”. Il giorno in cui un sindacato avrà il coraggio di dire che l’emergenza italiana non ha a che fare con le pensioni ci faccia un colpo di citofono che la veniamo a ringraziare. A presto.

 


 

Al direttore - Ieri sul Foglio è uscito erroneamente con la mia firma un articolo in cui Igor Boni, dipendente della regione Piemonte presso l’Istituto per le piante da legno e l’ambiente (Ipla Spa) raccontava in prima persona come, dopo 14 mesi di cassa integrazione e con la società sulla strada del fallimento, avesse accettato, lui laureato in Scienze forestali e non in Economia, l’incarico di amministratore unico offertogli come extrema ratio dal governatore Chiamparino. Boni è da quando lo conosco un militante radicale, e recentemente è stato eletto presidente dell’assemblea nazionale di Radicali italiani. Ma questo non c’entra, se non col fatto che Boni, forse ispirandosi all’esperienza di Ernesto Rossi che nell’immediato Dopoguerra portò a liquidazione nel migliore dei modi la ricchissima Arar, che si occupava della vendita dei materiali bellici confiscati o abbandonati, ha da subito deciso di applicare quello che definisce il “metodo radicale”, un composto di integrità e dinamicità: “Prima di tutto abbiamo (il plurale non è casuale, da solo non avrei fatto nulla) ridotto i costi: quasi dimezzati i costi generali e ridotti i costi del personale del 20 per cento tramite incentivi all’esodo e licenziamenti con relativo accordo sindacale, ridotto i costi dell’organo amministrativo a meno della metà e, ci tengo a sottolinearlo, ridotto i rimborsi personali dell’A.U. di oltre il 90 per cento rispetto alle precedenti gestioni e quasi azzerate le spese di rappresentanza. Abbiamo fatto e riammodernato tutto: dal sito istituzionale, al parco auto, al manuale delle procedure interno; dall’organigramma riducendo il numero dei ruoli di responsabilità al rispetto delle norme sulla privacy e quelle sulla sicurezza. Come previsto dalla legge sono stati redatti e consegnati a tutti il “Codice di comportamento dei dipendenti” e il “Piano triennale anticorruzione e per la trasparenza”. A proposito della trasparenza, fino ad allora mai considerata, oggi l’Ipla è un esempio per altre società partecipate piemontesi e non solo, perché sul nostro sito c’è sostanzialmente tutto: bilanci, compensi, incarichi, curriculum, delibere, fino ai miei rimborsi personali, mese per mese, dettagliati per tipologia. Sarebbe bello che anche gli altri amministratori pubblici facessero così”.

Ieri Igor Boni ha raccontato nel dettaglio questa bella storia. Io non c'entro. Vorrei farlo sapere non solo ai lettori ma anche all’Agenzia delle entrate, prima che si apra un’indagine sui miei redditi da lavoro dipendente.

Marco Taradash

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