Processo al citofono

Le Iene, il Gabibbo e Salvini: la politica mette in scena il peggio della tv

“Lei è al primo piano? Ci può far entrare cortesemente? Perché ci hanno segnalato una cosa sgradevole e volevamo che lei la smentisse, ci hanno detto che da lei parte lo spaccio del quartiere. Lo dicono i cittadini. Giusto o sbagliato?”. Doveva accadere. I segnali erano già evidenti con la performance dei deputati di Fratelli d’Italia che erano andati, sempre a Bologna, a mostrare a favor di social i citofoni delle case popolari indicando i nomi stranieri. Ma la scena di Matteo Salvini, che va a citofonare in diretta Facebook a casa di una famiglia tunisina accusata di spaccio da una signora del quartiere, segna un punto di svolta.

  

 

O meglio, è il punto finale di un processo degenerativo lungo decenni di messa in scena di un topos della televisione italiana: il citofono. L’antesignano è stato probabilmente Piero Chiambretti, che da portalettere suonava ai campanelli di personaggi potenti o famosi, a cui faceva interviste ironiche e spesso urticanti. Sempre nell’ambito dell’intrattenimento c’è stato il citofono dei comici di “Mai dire gol”. Poi il genere si è modificato, producendo le interviste da citofono, con protagonisti dell’infotainment come il “Gabibbo” e “Striscia la notizia”, la cui variante mobile erano i pedinamenti stradali. Successivamente, un gradino più in basso, dopo l’apparizione dei giornalisti da finestra, quelli che contemplavano le luci dei palazzi delle procure, sono arrivati i giornalisti da portone: quelli che, dopo appostamento, si appiccicavano ai campanelli di famiglie colpite da lutti, indagini o arresti. Il salto ulteriore, dopo la notifica citofonica, è stato quello che ha prodotto il “processo al citofono”, un genere portato alla gloria dalle “Iene”: si suona al portone di qualcuno sospettato o indicato di qualcosa, che non sa bene con chi sta parlando, e gli si fa l’interrogatorio con il microfono attaccato al citofono. Con Matteo Salvini siamo al perfezionamento del “processo mediatico al citofono”, ma ribaltando lo stadio iniziale, quello da cui è partito Chiambretti: non è più il giornalista a tampinare il potente, ma il potente – con il codazzo di giornalisti al seguito – a processare l’uomo comune. La degenerazione della specie.

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