Una riunione di maggioranza sulla legge elettorale (foto LaPresse)

Proporzionale tutta la vita. Il modello Barcellona (purtroppo)

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ti prendi un po’ di senatori grillini e arrivano subito questi dell’Unesco a globalizzare la transumanza.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Una riforma elettorale si dovrebbe definire costituente o di pari opportunità. In Italia si pretende l’impossibile: modificare la legge elettorale in una condizione di conflitto esasperato tra i partiti. E in cui il gioco non è più a somma zero: c’è chi vince e c’è chi perde in anticipo. Le modifiche alla legge elettorale, di cui si parla, portano a un esito predeterminato: il prosciugamento del Pd. Oggi abbiamo una condizione elettorale, partita dal tripolarismo (M5s, Lega, Pd), passata, in astratto, al bipolarismo, tendente nei fatti, all’unipolarismo. Non è un bene che sia così. Abbiamo, infatti: un centrodestra (all’opposizione) coalizzato intorno alla Lega e centrosinistra (al governo) che non è una coalizione. E a cui manca ogni caratteristica per esserlo: il M5s è, sulla carta, il primo partito, detiene il premier ma dichiara la non intenzione di coalizzarsi; il Pd è, nel paese reale, il vero primo partito della coalizione ma non è riconosciuto come tale dai suoi alleati. Che, anzi, si comportano come potenziali concorrenti elettorali. Insomma, una coalizione di centrosinistra non esiste nella realtà attuale. Il polo di centrodestra, stando ai fatti, rischia di essere l’unica coalizione che si candida al governo. Nei fatti rischiamo l’unipolarismo: una condizione di democrazia dimezzata. Non è utile, per il sistema parlamentare in sé, avere una legge elettorale che favorisca l’unipolarismo. In astratto, sembrerebbe il proporzionale puro, nelle attuali condizioni, il sistema più multipolare. E’ un inganno. Nella realtà di oggi è il contrario: il proporzionale funzionerebbe solo in metà dello spettro politico, frantumerebbe all’inverosimile l’offerta politica nel centrosinistra e aiuterebbe soltanto il polo avverso. Che essendo una coalizione stabile, vincente, con leadership e gerarchie riconosciute, può mostrarsi indifferente alla scelta tra maggioritario e proporzionale. Governerebbe in ognuno dei due scenari. Il centrosinistra ha, nell’assenza di una logica di coalizione, il suo punto inesorabile di debolezza. Come fa il Pd a non prenderne atto? Nei fatti: l’M5s è unito sul solo punto di rifiutare alleanze; Renzi dichiara di non ritenersi neppure un potenziale alleato del Pd (che vorrebbe, macronianamente, svuotare); Leu, per le sue dimensioni, può guadagnare voti solo strappandoli al Pd in nome della coerenza di sinistra. La differenza tra Pd e Lega è tutta qui: il maggior partito del centrosinistra non è riconosciuto come tale. I suoi alleati non ragionano in termini di polo. Anzi: concepiscono il Pd come campo di conquista elettorale. E per questo auspicano il proporzionale. Questa è la realtà. Che porta, però, all’unipolarismo. E questo non è un dettaglio: è il punto debole sistemico dei proporzionalisti. Agevolare il bipolarismo, invece che la riduzione al solo polo di centrodestra, è una necessità di sistema. Se non si ha la forza per imporre un vero maggioritario, che per ipocrisia tutti dicono di preferire in astratto, il Pd non può consentire un proporzionale che non contenga forzanti e correttivi verso una logica bipolare e di coalizione. Difficile? Meglio allora che il Pd dichiari l’indisponibilità al cambiamento della legge elettorale. Se ne riparlerà in futuro.

Umberto Minopoli

Resto convinto che per l’Italia avere un sistema elettorale come quello dei sindaci sia l’unico modo per garantire maggiore stabilità e per ridare nuova credibilità alla politica. Ma nell’attesa di renderlo possibile lavorare a uno splendido proporzionale che possa respingere l’estremismo nazionalista e non rendere strutturale l’alleanza tra Pd e M5s mi sembra l’opzione preferibile. C’è chi pensa che Salvini sia un leader politico come gli altri che non vada combattuto con tutti gli strumenti offerti dalla politica. C’è chi pensa invece che Salvini non sia un leader politico come gli altri e che per questo vada combattuto con tutti gli strumenti offerti dalla politica. Qui si pensa che Salvini non sia un leader politico come gli altri e che un governo nato per provare (con scarsi risultati purtroppo) a contenere il trucismo abbia senso solo se prova a trasferire il suo progetto di contenimento anche in una legge elettorale. Non sarà sufficiente per non far vincere Salvini – forse. Ma sarà sufficiente per costringere un giorno Salvini ad accettare mediazioni che non gli verrebbero imposte mettendo in campo una legge maggioritaria farlocca.

  

Al direttore - Caro Cerasa, ieri sera il Barcellona nella sfida con l’Inter, ha dimostrato di avere una “cantera” di livello stellare con giovani di grande talento capaci di fare la differenza. Un’azienda vincente deve lavorare con i suoi dipendenti come fa il Barcellona con i suoi giocatori. Nel 2012, in una partita della Liga con il Levante, dal 13’ al 75’ del match tutti i giocatori del Barcellona in campo, provenivano dalla “cantera” della squadra: questo grazie alla cura che il Club riserva al settore giovanile, dove gli allenatori abituano i giocatori, sin da giovanissimi a “vivere” lo scenario della prima squadra, abbinando a questo, la capacità di “fidelity” dei grandi campioni e le abilità di “retention” della società blaugrana. Se si lavora bene sui talenti, come ha fatto il Barcellona negli ultimi 15 anni, questi saranno capaci di sviluppare le proprie potenzialità trasformandole in risultati, solo così si esprimerà la differenza competitiva che permetterà all’azienda di eccellere. Tutto nasce dal saper riconoscere il “Fabregas” nella selezione, nel saperlo rendere visibile ai vertici aziendali, nel tener monitorata la sua motivazione, nello sfruttare la sua creatività e nel remunerarlo correttamente in modo che non ci sia disallineamento tra il valore reso e il pacchetto economico. L’organizzazione vincente ha quindi l’obbligo di implementare un processo di valorizzazione dei talenti, attraverso programmi di formazione o rafforzando le professionalità già esistenti. La centralità del capitale umano sin dalla “cantera” è il vero motore del successo di un’azienda.

Andrea Zirilli

Tutto vero, grazie, anche se parlare di Barcellona sul Foglio, oggi, è come parlare di corda con l’impiccato.

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