Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Di Maio ministro come il cavallo di Caligola. Saranno tre anni bellissimi

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 6 settembre 2019

Al direttore - Neanche l’autopsia basta perché per il Manette Daily il caso di Imane Fadil non è chiuso ma “quasi chiuso”. Insomma da quelle parti non hanno perso del tutto la speranza che regga il paragone con il caso di Giacomo Matteotti.

Frank Cimini

 

Al direttore - E’ vero: noi “votosubitisti” (copyright Giuliano Ferrara) rischiamo di diventare la parodia dell’ultimo dei giapponesi. Non abbiamo capito che la guerra è finita, e che questa volta le truppe romane di Giuseppe Conte hanno dato una sonora lezione alle tribù germaniche guidate da Matteo Salvini (la sconfitta inflitta a Publio Quintilio Varo da Arminio nella foresta di Teutoburgo è così vendicata). E’ vero: noi votosubitisti siamo anime belle, non abbiamo capito che la realpolitik è arte del compromesso che si può scomporre nella volubilità e nella furberia, e perfino corrompere nell’assenza di princìpi, nella slealtà verso la parola data, nel voltar gabbana, nel tradimento. Costi che si possono pagare pur di salvare l’Italia dall’aumento dell’Iva (qui viene da ridere) e, in primis, dalle grinfie rapaci di una Lega truce e parafascista. Per evitare la catastrofe della democrazia parlamentare, il Pd si è allora alleato con un non partito a base proprietaria e quindi geneticamente estraneo a ogni logica costituzionale. Ecco perché un votosubitista come chi scrive ha la sgradevole impressione che il “caminetto” di Largo del Nazareno, che ruota da un segretario all’altro sempre attorno alle stesse personalità, in realtà ambisca solo al presidio della postazione di governo, poco importa se conquistata con un forte consenso elettorale o dopo una disfatta alle urne. In ogni caso, primum vivere, deinde philosophari. Oggi un nuovo governo c’è, e siamo tutti felici. A Roma sono già scomparse le buche. Il tasso di trasformismo è aumentato, ma il tasso di odio diminuirà. L’Europa adesso ci vuole bene, e forse chiuderà un occhio di fronte ai programmi di spesa faraonici annunciati. Il paese sarà più verde e la sua economia più “circolare”. Ci saranno meno tasse per i lavoratori dipendenti e più lavoro per i giovani. Il ministro degli Esteri imparerà l’inglese e la geografia e il senatore Elio Lannutti apprenderà che “I Protocolli di Sion” sono un falso storico. Nel frattempo, nella coalizione arancione (mescolati, il giallo e il rosso danno questo colore) fioccano le idee geniali: il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, suggerisce di tassare le merendine per rimpinguare lo stipendio degli insegnanti, mentre Loredana De Petris (Leu) propone corsi di educazione alla non violenza per i poliziotti. Sia chiaro, non sono ingenuo fino al punto di ignorare che politica e menzogna si piacciono. Ci si può però chiedere, e io mi chiedo, se nel tempo presente la dimensione della solitudine non sia l’unica risposta possibile a chi biasimi l’iniquità della menzogna. Per questo ho deciso di iscrivermi alla Congregazione degli Apòti, di coloro che la bevono, di prezzoliniana memoria. E mi lasci dire, come diceva l’illuminista tedesco Christian Woolf: “Sia lodato il cielo per la solitudine. Lasciatemi solo. Sia lodato il cielo per la solitudine che ha rimosso la pressione dell’occhio, la sollecitazione del corpo, e ogni bisogno di menzogne e di frasi”.

Michele Magno

Saranno tre anni bellissimi.

 

Al direttore - In una riflessione sulla decadenza delle élite si potrebbe paragonare Boris Johnson a Churchill. Ma a chi o a che cosa paragonare Di Maio, ministro degli Esteri nel risibile governo Conte 2? Al cavallo nominato senatore da Caligola? L’ipotesi che il presuntuoso e vacuo giovanotto di Pomigliano d’Arco guidi la nostra diplomazia e rappresenti il paese all’estero è terrificante. Non solo per la sua leggendaria ignoranza (Pinochet venezuelano…), l’inclinazione inarrestabile alle gaffe, l’inglese puerile e la totale incompetenza nelle questioni internazionali. Ma anche per la fama di goliardo irresponsabile, al pari del suo ex sodale Di Battista (l’abbraccio con il peggior gilet giallo a Parigi). Pensare che dossier come le migrazioni, la Libia, i conflitti in medio oriente, i rapporti con Russia e Usa ecc. finiscano nelle mani di Di Maio fa venire i brividi. Dovrebbero essere posti dei limiti alla sciocca furbizia dei grillini e al cinismo governativo del Pd. Così non è e quindi non resta che affidarsi a Dio.

Alessandro Dal Lago

Luigi Di Maio è una barzelletta vivente che ha conquistato undici milioni di voti alle elezioni del 4 marzo del 2018. Avere una barzelletta come vicepresidente del Consiglio, come ministro del lavoro, come ministro dello Sviluppo era un pericolo per il paese. Averlo come ministro degli Esteri può essere un pericolo per la Farnesina ma può essere anche un’opportunità per l’Italia: disinnescare l’estremismo del grillismo facendogli imparare un po’ di inglese, mettendolo sotto tutela della diplomazia italiana, affiancandogli qualche navigator affidabile e mettendolo davanti alla realtà. Se si osserva il suo curriculum, e la sua storia, Luigi Di Maio è forse il peggior sponsor che l’Italia potrebbe avere all’estero. Se si pensa però alla possibile, anche se difficile, traiettoria del grillismo, avere come ministro degli Esteri un populista che a forza di prendere schiaffi dalla realtà ripiega in un cassetto il suo estremismo potrebbe essere anche un’opportunità niente male per l’Italia: vedete, noi sappiamo come cambiarli, i barbari.

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