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Fornero e un sms per Mattarella. La post verità della post povertà

Al direttore - Dopo gli attacchi vergognosi e plebei che il Bello, il Brutto e il Cattivo hanno nuovamente rivolto, in conferenza stampa, all’ex ministro Elsa Fornero, il presidente Sergio Mattarella faccia cessare un abominevole linciaggio che dura da anni: nomini la professoressa Fornero senatore a vita; dimostri da quale parte sta l’Italia civile che non si arrende.

Giuliano Cazzola

Dove si firma?


  

Al direttore - Se mettessimo in fila gli annunci di esponenti del governo e, in particolare, del vicepremier, Luigi Di Maio, dovremmo dire che abbiamo sconfitto la povertà, che ci stiamo apprestando a fruire di un nuovo “boom economico”, simile a quello degli anni Cinquanta e Sessanta, che dal 17 gennaio è stato fondato un nuovo welfare state (forse Lord Beveridge si rivolta nella tomba) e che, a un altro livello, si sta per nazionalizzare Carige (senza dimostrare consapevolezza dello stesso decreto adottato dall’esecutivo). Certo, è facile rilevare queste obnubilate e obnubilanti dichiarazioni ed è altrettanto vero che non bisogna fermarsi a esse, ma occorre intervenire nel merito delle misure adottate per fare emergere la loro lontananza dalle sorti magnifiche e progressive che vengono sbandierate senza ritegno. Tuttavia, questo enorme vallo tra come si tenta di comunicare e la sostanza dei provvedimenti adottati non è ancora diffusamente percepito, anche se alcuni sondaggi iniziano a segnalare un’inversione, per ora lieve, di tendenza. Né si colgono – significativo quanto sta avvenendo per il vertice Consob – i tentativi e le spinte lottizzatori che, in altre epoche, avrebbero registrato, innanzitutto, fiumi di inchiostro sulla carta stampata. Bisogna comunque sperare, a dispetto di tutto, che non si affermi la “post verità”. Con i migliori saluti.

Angelo De Mattia

   

L’Italia capirà presto che fino a quando il governo non farà di tutto per creare lavoro, e non per creare assistenzialismo, la post povertà resterà purtroppo solo una post verità.


  

Al direttore - “Chi lo dice?”, chiede preoccupato il maresciallo dei carabinieri Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica) alla governante Caramella (Tina Pica). A Sagliena, il pettegolo paese immaginario in cui è ambientato il film di Luigi Comencini “Pane, Amore e gelosia” (1954), ormai non si parla che della sua presunta infatuazione per la “Bersagliera” (Gina Lollobrigida), e quindi è ansioso di saperne di più. “Lo dice la gente”, risponde la governante. “E che dè sta gente?”, incalza il maresciallo. “La gente è la gente”, replica secca lei troncando la conversazione. Quando ho letto che nel suo ultimo libro, “The Game”, Alessandro Baricco mostra come (testuale) “sia andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente”, confesso di essermi fatto la stessa domanda del focoso graduato dell’Arma. Allora ho cercato lumi nel dizionario della Treccani, e ho scoperto che la parola gente può significare: stirpe, nazione, gruppo di famiglie dal ceppo comune, numero indeterminato di persone riunite in un luogo, totalità del genere umano. Oppure, con opportune specificazioni, può essere definita: povera o ricca, onesta o spregevole, educata o volgare, di città o di campagna, di mare o di aria, e via discorrendo. Ora, io capisco che il termine popolo (che un tempo si chiamava classe e che poi si è si è chiamato società civile) si presta a numerosi equivoci, soprattutto da quando viene identificato dai populisti con il mondo degli umili, dei deboli, dei moderni servi della gleba. Ma preferirgli il termine gente non contribuisce certo a una più argomentata discussione sulla “ribellione delle masse”, per dirla con Ortega y Gasset, contro l’establishment politico, economico, sindacale che sia. Magari usiamolo solo per rendere omaggio alla comicità della grande attrice napoletana.

Michele Magno


  

Al direttore - Concordo con l’idea lanciata dal Foglio (Ferrara/Cerasa) di una campagna referendaria su alcuni temi caldi del momento, intorno ai quali mobilitare la società civile e le forze economiche che in questi mesi hanno mostrato di rifiutare il contratto e il programma del governo penta-leghista. Tuttavia, mi chiedo: in che rapporto si pone una tale idea con lo stato dell’opposizione politico-parlamentare? Da questo punto di vista, quali sono lo scenario e il compito che una stagione referendaria si troverebbe di fronte? 1) Lo scenario. All’avvicinarsi dell’elezioni europee del maggio prossimo, si moltiplicano gli scontri nel governo tra pentastellati e leghisti. Paradossalmente, però, i contrasti tra Di Maio e Salvini rischiano di essere funzionali al tentativo delle forze di governo di imporre in Italia quello che il Foglio da tempo definisce un bipolarismo malsano: sinistra populista un polo (M5s), destra populista l’altro polo (Lega). E questo perché, ahimè, le forze politiche di opposizione tuttora subiscono l’egemonia dei giallo-verdi. Le dinamiche in atto tra le forze politiche di opposizione ed all’interno di ciascuna di esse (vedi il congresso del Pd) oscillano e si definiscono prioritariamente, quando non addirittura esclusivamente, in rapporto ai contrasti che esplodono di volta in volta tra Di Maio e Salvini. L’opposizione politica deve invece uscire dalla gabbia egemonica del binomio populista M5s-Lega, seguendo una propria agenda e un proprio schema: non sovranismo versus antisovranismo, ma sovranità statale nazionale abbinata a sovranità sovrastatale europea. 2) Il compito. In tal senso, inaugurare una stagione referendaria potrebbe facilitare l’iniziativa dell’opposizione politica – in primo luogo del Pd – finalizzata ad affermare la prospettiva di una sovranità sovrastatale europea costruita per il tramite dei cittadini. L’impegno per richiedere un referendum per il Sì Tav, qualora il governo decidesse di bloccare l’opera, potrebbe essere l’apripista di un tale processo, perché congiungerebbe in modo immediato un interesse dell’Italia (sovranità nazionale) a un interesse europeo (sovranità sovranazionale). La sovranità ritornerebbe così ad acquistare la propria essenza: quella di essere non un carattere identitario divisivo partitico, ma il fattore costituente di un ordinamento politico sovrastatale. Quello europeo.

Alberto Bianchi

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