La repubblica giudiziaria culla delle fake news. Scrive Zingaretti

Al direttore - Caro Cerasa, la Corte di appello di Perugia ha definitivamente prosciolto Ottaviano Del Turco dal reato di associazione a delinquere perché “il fatto non sussiste”. Nove anni fa un pm, poi entrato in politica senza successo, inflisse all’allora governatore dell’Abruzzo l’umiliazione del carcere con questa accusa infamante. Ebbe così inizio un calvario giudiziario che ha distrutto la vita di un uomo onesto e perbene, il quale ha onorato il paese come sindacalista, parlamentare nazionale ed europeo, ministro, amministratore della sua regione. Non solo. Pur essendone uno dei fondatori, è stato condannato ad una sorta di “damnatio memoriae” dal Pd. Al di là delle questioni di stile dei suoi dirigenti (numerosi gli tolsero perfino il saluto), una spiegazione c’è. Nel senso che la “santa alleanza” tra media e magistratura in quegli anni fu vista dal principale partito della sinistra come l’unica diga residua al berlusconismo, scambiando un mutamento sistemico dei poteri costituzionali per uno spartiacque morale e, in tal modo, portando acqua al mulino delle forze che hanno investito fino all’ultimo centesimo del proprio patrimonio demagogico in un rialzo del listino del malaffare. Beninteso (e purtroppo), il nostro amico Ottaviano non è stato certo l’unico a sperimentare sulla propria pelle una dura verità, e cioè che in Italia “La justice est une espèce de martyre”, come recita una massima del teologo seicentesco Jacques-Bénigne Bossuet. Per fortuna non sono pochi i giudici ancora rispettosi dello stato di diritto, ma in un contesto in cui il principio fondativo dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura può sconfinare nell’irresponsabilità nei confronti dei circuiti della legittimazione popolare, il leader-sindaco, governatore, ministro, presidente del Consiglio diventa infatti il primo oggetto della sua attenzione. Più è rilevante il suo ruolo, più forte è la tentazione di metterlo sotto tiro e sotto torchio. Una cosa che negli Stati Uniti, culla della democrazia del leader, conoscono da molto tempo. Adesso la conosciamo anche noi. Non c’è da rallegrarsene.

Giuliano Cazzola, Michele Magno

 

E’ una storia incredibile e purtroppo non è una storia straordinaria ma è una storia drammaticamente ordinaria. Prendi un indagato. Trasformalo in uno straccio. Chiedi pene esemplari. Ottieni una condanna morale. E poi fottitene del processo e fottitene delle prove. Nel caso specifico per nove anni ci hanno raccontato, senza sfumature, senza presunti, senza condizionali, che l’amministrazione Del Turco era un’associazione di criminali e che Del Turco era un corrotto. Le cose non stanno così ma in una repubblica giudiziaria fondata sulle procure l’unica verità che conta è la post verità prodotta dal circo mediatico-giudiziario. Se volete davvero parlare di fake news, forse prima bisogna partire da qui.

 

Al direttore - Quando era candidato alla presidenza della Repubblica francese, Emmanuel Macron esprimeva spesso la propria ammirazione per l’esperienza di Matteo Renzi alla guida del governo italiano. Piaceva al giovane statista francese l’idea di un leader di sinistra che innovava e rompeva i vecchi tabù – sul mercato del lavoro, sul fisco o nel posizionamento internazionale – perché anticipava quella che sarebbe poi stata la sua “rupture” nella politica francese. Sia per il leader di En Marche sia per il segretario del Pd il confronto politico non si gioca più tra destra e sinistra, ma tra innovazione e conservazione, e soprattutto tra chi vuole salvaguardare e migliorare l’Europa unita e chi vuole distruggerla per miopi riflessi sovranisti. A inizio 2017, prima delle elezioni francesi (e quelle austriache e olandesi), sembrava che dichiararsi europeisti fosse vergognoso è controproducente. Chi ha continuato a farlo a testa alta, sfidando i populisti anche nella fase peggiore, oggi può guardare al futuro con maggiore ottimismo. Per questo condivido in pieno la suggestione del direttore del Foglio, secondo cui il Pd dovrebbe reagire alle “cinque stelle” inserendo le dodici stelle della bandiera europea direttamente nel proprio simbolo di partito. Sarebbe più di un programma politico, sarebbe un impegno storico. Per la stessa ragione, credo che politicamente Renzi e Macron debbano oggi diventare i principali sostenitori di Angela Merkel, aiutarla a far sì che la Germania resti il motore e il riferimento del processo di integrazione europea, anche dopo le elezioni tedesche, che hanno inevitabilmente mutato gli equilibri interni. Lasciamo i vaneggiamenti e le accuse alla “cattiva Germania” ai Salvini, ai Di Maio e ai loro omologhi stranieri. Noi siamo invece consapevoli che nemmeno la Germania, da sola, può affrontare le grandi sfide del nostro tempo, l’immigrazione, la difesa e la lotta al terrorismo, la creazione di lavoro, l’innovazione tecnologica ed energetica. Abbiamo dunque bisogno che i principali leader nazionali (peraltro Renzi iscritto al Pse, Merkel al Ppe e Macron vicino all’Alde) assumano una iniziativa comune per il rilancio dell’Unione europea, e che lo facciano con il senso della storia e non delle scadenze elettorali.

Gianfranco Librandi, imprenditore, deputato del Pd

 

Al direttore - Le scrivo per segnalarle che il contenuto dell’articolo “Raggi e Zingaretti frenano il piano per Roma” è notizia totalmente priva di fondamento. Nella missiva del ministro veniva indicata come disponibilità per avviare il lavoro una data dopo il 4 ottobre chiedendo alle amministrazioni di indicare il referente responsabile dell’attività, cosa che questa amministrazione ha fatto attraverso la lettera datata 27.09.2017 (48 ore dopo aver ricevuto la lettera del ministro) che le allego alla presente. Distinti Saluti,

Nicola Zingaretti

 

Risponde Salvatore Merlo: “Ringraziamo per la precisazione. La lettera è stata inviata ma per ragioni che non conosciamo al ministero in realtà non era mai arrivata. Abbiamo provveduto noi a inoltrarla al ministero dello Sviluppo tramite WhatsApp. Mistero chiarito. O forse non del tutto. La invito a leggere il pezzo oggi in prima pagina sulle altre conseguenze del piano Calenda”.

 

Al direttore - Sono 299 le “battute”, i caratteri di stampa, dedicati dal Corriere della Sera di ieri, a pagina 21 (ventuno!), all’assoluzione degli ex vertici Fastweb che costarono carcerazione preventiva e tritacarne mediatico-giudiziario, tra gli altri, a Silvio Scaglia e Mario Rossetti. Però per Rossetti e per gli altri quattro assolti non c’era spazio sul Corsera. Prima o poi questa moda finirà? Se la funzione prima e ultima del giornalismo è informare, che cosa è tutto ciò? Da giovanissimo giornalista che si aggirava nei corridoi di Montecitorio, aiutai il compianto amico deputato Giorgio Stracquadanio a realizzare e inviare a tutti i circa mille parlamentari un libretto sul “Caso Scaglia”, abbellito dalle vignette realizzate proprio in quel tempo da Vincino per il Foglio . Nelle righe di accompagnamento a quella pubblicazione, Giorgio avvertiva i colleghi (deputati e giornalisti) che la piega che aveva preso il modello italiano del rapporto tra informazione e giustizia era pericolosissima. Non serve aggiungere altro, purtroppo.

Andrea Camaiora

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