Carlo Calenda (foto LaPresse)

Palazzi romani in tilt

Salvatore Merlo

Non solo Raggi. Il piano su Roma di Calenda diventa il metro per misurare i rapporti di forza nel Pd e nel governo

Roma. Due identiche lettere di convocazione che partono dalla scrivania del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, una diretta a Virginia Raggi, sindaco di Roma, l’altra a Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio. Calenda chiede la disponibilità a partecipare il 4 ottobre al tavolo istituzionale per la definizione del piano per il rilancio industriale di Roma. Zingaretti risponde, come ci ha spiegato lui stesso in una precisazione pubblicata oggi su Foglio, ma la lettera al Mise per due giorni non si trovava (è spuntata fuori dall’ufficio protocollo soltanto giovedì pomeriggio). Tuttavia il ritardo, o la sparizione momentanea di questo foglio, è stato sufficiente, in quarantotto ore, ad accendere sospetti e retropensieri nelle stanze del ministero dello Sviluppo, a far pensare che ci fosse un atteggiamento di freddezza se non addirittura un tentativo di frenare questo progetto d’interventi economici con il quale si dovrebbe tentare di risollevare la capitale in declino. I sospetti, poi, si sono fatti fortissimi, e intrecciati, tumultuosi, poiché se la risposta di Zingaretti era partita (ma si era persa), la risposta del sindaco Raggi non è mai arrivata, tanto che giovedì a quanto pare il ministro Calenda ha telefonato personalmente al sindaco, sollecitandola.

 

Il mistero un po’ buffo della lettera della regione che scompare e ricompare, e della lettera del comune che scompare e non si trova più, è un fatto che riguarda la burocrazia ministeriale, gli uffici protocollo delle varie istituzioni coinvolte, e i rapporti tra il ministero, la regione e il comune. Può infatti darsi che questa vicenda sia stata tutta un equivoco. Ma l’equivoco per due giorni, sottotraccia, s’è trasformato in un intrigo politico, il malinteso ha rapidamente messo radici su un terreno di sospetti preesistenti e incrociati, di giochi di posizionamento, nel Pd, e persino, come vedremo, nel governo. E infatti, dicono a Palazzo Chigi, “Calenda ci ha messo nei pasticci con questo piano di cui non ha informato nessuno di noi”.

  

E il garbuglio dei sospetti incrociati è sintomatico di un clima pazzotico, un labirinto dove ci si può anche perdere e stordirsi. Quando la lettera tarda (seppur di poco) il ministero dello Sviluppo pensa subito che la regione Lazio voglia frenare il piano industriale. E in effetti la regione – come ha lasciato intendere Zingaretti sul Messaggero – non considera utilissimo il piano Calenda, in quanto a maggio del 2016 aveva già firmato un “patto per il Lazio e Roma” con l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Eppure Zingaretti risponde alla lettera di Calenda, figurarsi, malgrado la lettera per 48 ore sparisca: è troppo vecchio del mestiere per compiere un passo falso. Ma pure, immediatamente, il presidente del Lazio a sua volta sospetta che i sospetti di Calenda su di lui siano in realtà un modo per scaricare sulla regione il possibile fallimento del piano industriale che in realtà – come raccontano al Foglio da Palazzo Chigi – non ha trovato sostegno tra gli altri ministri economici del governo di Paolo Gentiloni. La trovata del tavolo istituzionale, compresa la mezza allusione a nuovi denari per il comune di Roma, ha infatti sorpreso se non addirittura irrigidito il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ma anche il ministro per la Coesione Claudio De Vincenti, e tutta la pattuglia dei deputati romani del Pd. La sorpresa, nonché la freddezza, a Palazzo Chigi, deriva dal fatto che da mesi i rapporti tra la Raggi e la gestione commissariale – dunque governativa – del debito di Roma vanno malissimo. Il governo si occupa del piano di rientro del comune, cioè della riduzione di un deficit strutturale pari a 440 milioni di euro. Da mesi il Campidoglio non presenta i documenti richiesti e avanza autocertificazioni considerate fuori dalle regole. E in questo contesto, il piano di Calenda, che il sindaco Raggi ha fulmineamente interpretato come un impegno di aiuti economici, ha un po’ tolto a Padoan gli strumenti negoziali con il Campidoglio. Inoltre, a complicare questo intreccio pasticciatissimo di diffidenze e retropensieri ci si sono messi i deputati romani del Pd. E infatti praticamente quasi tutti loro pensano – e lo hanno persino comunicato a Gentiloni – che Calenda voglia fare il sindaco di Roma, e che il piano industriale sia propedeutico a una sua futura, e a noi viene da dire improbabile, candidatura. E come ben si vede, tutta questa vicenda ha forse più a che vedere con la psicopatologia, e con l’opportunismo, che con la politica in sé. Intanto, però, in mezzo a tutte queste contorsioni c’è Roma, la città che se la passa male, e perde competitività.

 

Ps. Raggi non ha ancora risposto alla convocazione di Calenda, anche se le converrebbe. Ma questo riguarda forse le stranezze amministrative del M5s. Ed è un’altra storia.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.