Maria Elena Boschi e Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

Una metafora per Bersani: se vai nei Boschi, occhio all'orso

Le lettere al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Se vai nei Boschi stai attento all’orso. Poi dice che Bersani ogni tanto non ci piglia.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Appena Renzi ha costituito il “dipartimento mamme” gli ex soci del Pd si sono scatenati. La Chiara Geloni, maestra di comunicazione dei bersaniani (sarà mica quella che inventa i giaguari da smacchiare e i tacchini sul tetto?) ha twittato invocando il dipartimento babbi. Meglio di lei ha fatto solo Aurelio Mancuso, già responsabile Pd-Arcigay, che ha twittato da #regressioneculturale. Ecco, la fortuna di Renzi è che questi se ne sono già andati, ma non deve contare troppo sulla fortuna, perché, come noto, la fortuna è cieca, ma la sfiga e gli sfigati ci vedono benissimo.

Valerio Gironi

 


 

Al direttore - I cattolici che entrano nella Basilica di San Pietro per andare a messa devono attraversare i metal detector e non utilizzano orari di apertura e accessi differenziati. Le persone di religione non musulmana, invece, sono autorizzate a entrare nel sito del Monte del Tempio – dove si trovano la moschea al Aqsa e la Cupola nella Roccia – in fasce orarie precise e limitate, utilizzano un accesso diverso rispetto a quelli riservati ai musulmani, e non possono entrare nei luoghi di culto, e non soltanto durante la celebrazione della preghiera. Si tratta di una segnalazione pacifica oppure è un modo per banalizzare le ragioni delle proteste e delle tensioni riacutizzatesi in questi giorni a Gerusalemme, e per mettere in discussione il malinteso multiculturalismo e la visione un po’ strabica del pluralismo culturale e religioso che i media generalmente utilizzano nel trattare queste vicende?

Marco Eramo

 


 

Al direttore - Sono tra i più affezionati ascoltatori di Stampa e regime di Massimo Bordin su Radio Radicale. Una bussola fondamentale per iniziare la giornata. Da attento lettore dei quotidiani Bordin ricorderà senz’altro che nel 2001 non fu fatta nessuna commissione di inchiesta parlamentare sui fatti del G8, bloccata, come era prevedibile, dall’allora maggioranza di centrodestra, e, nella legislatura successiva, quella del governo Prodi, dall’Italia dei valori di Di Pietro per motivi abbastanza evidenti e per certi aspetti speculari. Semplicemente fu istituito un comitato paritetico presieduto dall’on. Donato Bruno in seno alla commissione Affari costituzionali della Camera per un’indagine conoscitiva sui fatti del G8. Acqua fresca, insomma. Come è noto, una commissione di inchiesta parlamentare ha poteri tutt’altro che irrilevanti e la possibilità di accedere a fonti dirette con poteri di indagine equiparabili alla magistratura. Sono trascorsi 16 anni, quella ferita è ancora aperta, come lo stesso capo della polizia Gabrielli testimonia con una rilevantissima intervista rilasciata qualche giorno fa a Repubblica. A meno che non si voglia annoverare anche quest’ultimo nella schiera degli estremisti di ritorno.

Ufficio Stampa Arturo Scotto Articolo 1 - Movimento Democratici e Progressisti

 


 

Al direttore - Se Maometto non va alla montagna è la montagna ad andare da Maometto. Franco Gabrielli ha fornito un assist formidabile alla procura di Roma sostenendo che è colpa della legge (e per questo motivo deve essere modificata) se il tribunale non ha riconosciuto, nel processo sul “mondo di mezzo’’ (rinominato a sproposito “Mafia Capitale’’), il reato di associazione di stampo mafioso. Da questo come da altri commenti della sentenza si possono trarre alcune sommarie conclusioni: 1) sono meno uguali delle altre (e quindi si possono criticare apertamente) le sentenze che non si adeguano in toto ai teoremi delle procure; 2) i giudici di Roma hanno dimostrato del coraggio perché si aspettavano una campagna di stampa sfavorevole (e i processi mediatici non vanno sottovalutati, perché spesso anticipano quelli veri); 3) sorge il dubbio, anzi, che il collegio, composto da persone che vivono nel mondo, abbia comminato delle pene molto severe agli imputati per “coprirsi’’ (non si sa mai) da possibili accuse di concorso esterno; 4) quanti si ostinano a ribadire, come un disco rotto, che a Roma la mafia è presente, appartengono ai soliti inventori dell’acqua calda. Le organizzazioni malavitose hanno occhi e orecchie ovunque: anche a Brescello, il paese di Peppone e don Camillo. La questione è un’altra. Ai giudici del tribunale non era stato chiesto di stabilire se nella capitale esistono o meno associazioni di stampo mafioso, ma soltanto se quella combriccola di mazzettari e rubagalline aveva o meno quelle caratteristiche.

Giuliano Cazzola

È una storia incredibile. Così come trovo incredibile che ci siano politici che chiedano alla procura di Roma di ricorrere in appello senza aver letto neppure le motivazioni della sentenza. Siamo passati dai magistrati che si sentono politici ai politici che, senza senso del ridicolo, si sentono direttamente magistrati.