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Servono impianti per non finire (ancor più) sommersi dai rifiuti

Rivista Energia

La drammatica mancanza di impianti spinge il settore verso l’illegalità, l’aumento di stoccaggi ed export e un uso anomalo della discarica. L'opinione di Chicco Testa

L’emergenza rifiuti in Italia ha un nome e un cognome: mancano impianti. L’Italia ha una produzione pro-capite di 490 kg di rifiuti urbani contro i 627 della Germania. Se invece si guarda il pro-capite totale (urbani più speciali) i dati del 2014 indicano 2.617 kg per l’Italia e 4.785 per la Germania (una bella differenza!). Frutto di virtù, ma anche di una contrazione economica evidente. Difficile quindi fare meglio nel rapporto quantità prodotte/PIL, soprattutto se ci fosse un po’ di auspicabile ripresa economica. Idem per quanto riguarda i rifiuti speciali di origine industriale dove il nostro Paese vanta un primato nella capacità di riciclo in molti settori.

 

Possibile certo fare meglio ma i numeri sono chiari e semplici; c’è un deficit strutturale fra domanda (rifiuti prodotti) e offerta di impiantistica, di tutti i tipi: sia per i rifiuti urbani che per quelli speciali, sia per il riciclaggio sia per lo smaltimento finale dei materiali non riciclabili.

 

Nei rifiuti urbani mancano impianti per il riciclaggio e per il recupero energetico, così si usa ancora troppo la discarica (oltre il 30 % del totale) e si esportano rifiuti fuori regione e fuori Italia, con un costo aggiuntivo per il sistema di circa 1 miliardo di euro all’anno. La sola area di Roma esporta 1,2 milioni di tonnellate. 

 


1 miliardo di euro all’anno il costo aggiuntivo per esportare i rifiuti, 10 miliardi gli investimenti necessari per gli impianti


 
Per riciclare il 65% dei rifiuti urbani, come chiede la nuova direttiva europea, servono impianti per la frazione organica per 3,5 milioni di tonnellate (digestione anaerobica e compostaggio, per una quarantina di impianti, specie al Sud). Mancano piattaforme per la valorizzazione ed il riciclo delle frazioni secche (plastiche, carta, vetro). Con lo stop cinese all’importazione di questi materiali è esplosa una vera e propria crisi nazionale. Mancano inceneritori per rifiuti urbani per 1,8 milioni di tonnellate (una decina, specie al Sud) per ridurre la discarica al 10% come vuole la Direttiva e recuperare energia dal 25% dei rifiuti. Ma anche le discariche italiane sono in esaurimento e abbiamo spazio solo per 2-3 anni. Si rischia il collasso, evidente già in alcune aree del Paese.

 

Ancora: mancano impianti per i rifiuti speciali. Esportiamo 3 milioni di tonnellate di materiali (di cui 1 milione di rifiuti pericolosi a discarica) e stocchiamo sempre di più (nel 2017 16 milioni di tonnellate). Soluzione di riserva per mancanza di destinazione finale. Mancano inoltre impianti per il recupero energetico per 1,9 milioni di tonnellate (una decina di inceneritori) per evitare l’esportazione, smaltire correttamente fanghi di depurazione e scarti del riciclo. Servono discariche per rifiuti pericolosi.

 


La drammatica mancanza di impianti legali spinge il settore verso l’illegalità, l’aumento di stoccaggi ed export e un uso anomalo della discarica


 
La drammatica mancanza di impianti legali spinge il settore verso l’illegalità (come testimoniano i crescenti roghi), ma anche verso l’aumento di stoccaggi ed export, e ad un uso anomalo della discarica. Facendo crescere i costi del sistema (a scapito della competitività) e consegnandolo ad uno stato di continua crisi, come testimonia l’appello al Ministro dell’Ambiente di tutte le associazioni di categoria.

 

Serve una strategia nazionale, è urgente, occorre un piano di investimenti in impianti stimato in 10 miliardi di euro, ma serve anche una legislazione semplice e lo sblocco dei decreti end of waste.

 

L’economia circolare è una bella e suggestiva idea, ma non fa evaporare i rifiuti (165 milioni di tonnellate l’anno): servono impianti ed una politica industriale.

 

L'articolo è di Chicco Testa, Presidente di Assoambiente, ed è stato pubblicato originariamente su www.rivistaenergia.it