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Maxim Osipov racconta  Navalny,  l'eroe che fa sperare in un'altra Russia

Il paese, dice lo scrittore e medico, ora è in bianco e nero e lo rimarrà fino alla fine della guerra e della tirannia, scrive il Figaro (15/3)
 

Ieri, nel primo giorno di primavera, Alexei Navalny è stato sepolto nel cimitero Borissov, a Mosca. E presto ci saranno le elezioni in Russia, il cui risultato è già noto: l’assassino di Navalny sarà ancora una volta proclamato presidente. È responsabile di innumerevoli disastri, anzitutto per il popolo ucraino, ma anche per il suo stesso popolo. Ha già ucciso e mutilato centinaia di migliaia di persone e sottratto milioni di euro, non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo. “Putin is my nigga, America is shit!”, ha esclamato un giovane europeo che ho incontrato non molto tempo fa quando ha visto il mio passaporto russo – ma come e a quale influenza può essere stato esposto?

La guerra intrapresa dal dittatore e le repressioni politiche hanno fatto il loro sporco lavoro: dei tanti strati della popolazione, delle culture, di tutta la diversità della Russia, ne rimangono solo due: quella che, con un silenzio indifferente o a voce alta, sostiene il regime al potere, e l’altra, che viene perseguitato e si oppone a esso. Il paese è ora in bianco e nero e lo rimarrà fino alla fine della guerra e della tirannia, in altre parole, finché vivrà l’uomo dagli occhi vuoti, dalla risata malvagia e dall’anima morta. Durante il quarto di secolo in cui ha governato il paese, sotto i nostri occhi – e con la nostra connivenza – è diventato l’incarnazione della brutalità, come se avesse deciso di interpretare il ruolo del diavolo, di distruggere il mondo e sé stesso, come un tumore cancerogeno che si uccide annientando l’organismo che lo ospita. Ma basta parlare di lui, l’antieroe, parliamo invece dell’uomo che rimarrà per sempre nella nostra memoria, il vero eroe, Alexei Navalny.

 

Nella sua breve vita (47 anni), Navalny ha realizzato una moltitudine di cose diverse fra loro. Io stesso mi sono trovato associato a lui, in molto modesto, quando nel 2013 ha potuto candidarsi alle elezioni municipali di Mosca: ci siamo incontrati e abbiamo trascorso un’ora e mezza a parlare, tra le altre cose, di questioni di salute pubblica. Ricordo che temevo di incontrare un giovane Eltsin, pieno dell’arroganza tipica dell’élite – quella che ti dà una pacca sulla spalla – e invece ho incontrato un giovane uomo curioso e pronto a imparare. Non ho avuto nemmeno per un attimo l’impressione che non si potesse contraddirlo, che non gli si potesse dire di no. Altri scriveranno meglio delle azioni e della vita di Navalny – coloro che lo conoscevano bene.

 

Ma “la vita è finita, inizia la leggenda” e al centro di questa leggenda c’è la principale azione eroica di Navalny: il suo ritorno volontario in Russia dopo essere stato miracolosamente salvato in Germania (…). Così, guardando – ahimè, da lontano – tutti coloro che si sono riuniti per il funerale di Navalny (alcuni parlando di 50mila persone, altri 100mila), mi dico che, paradossalmente, ce l’ha fatta! Non è quello che ci aspettavamo e, con ogni probabilità, non è quello che lui voleva, ma ha ottenuto qualcos’altro, qualcosa di più grande. Amleto non è venuto per punire il male, ma per riparare la sua epoca. “E morirò, principe, nella mia terra natìa/ Con una spada avvelenata”. Ieri, al funerale, abbiamo visto non solo la Russia di Claudio l’avvelenatore – l’uomo che ha sconvolto e distrutto la sua epoca – ma anche la Russia del principe Amleto, che l’ha rimessa a posto e l’ha resa nuovamente integra. “La Russia sarà libera”, “la Russia sarà felice”, questo addio di decine di migliaia di persone a colui che è il vero eroe della Russia, reale e non fittizio, ci fa sperare - anche se la speranza è molto debole, molto timida. Vedendo tutti coloro che erano lì superando la paura, attraverso l’orrore della situazione è spuntata una speranza, una primavera. Quanto alle elezioni, vale la pena parlarne? – “Navalny è il nostro presidente!”, gridavano ieri alcuni giovani tra la folla. Ebbene, se un giorno dovrò votare, sarà per loro. (Traduzione di Mauro Zanon)

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