Un Foglio internazionale

Il Ventunesimo secolo non sarà necessariamente cinese, dice Nicolas Baverez

L’incontro a San Francisco tra il presidente americano Joe Biden e il suo omologo Xi Jinping ci fornisce alcuni insegnamenti preziosi. L'articolo su Le Figaro del 19 novembre

Il vertice dell’Apecche ha riunito a San Francisco 21 nazioni del Pacifico che contano tre miliardi di abitanti e rappresentano il 60 per cento del pil del pianeta  – scrive Nicolas Baverez – ha visto la riprese prudente di un dialogo tra la Cina e gli Stati Uniti. L’incontro ha trasmesso un segnale di distensione, dopo il peggior periodo di tensioni dai tempi del viaggio di Nixon nel 1972, tensioni culminate con il pallone spia che ha attraversato l’America prima di essere abbattuto a largo della Carolina del Sud a inizio anno. Nonostante l’assenza di conferenza stampa e di dichiarazione congiunta, l’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping ha permesso di riaprire i canali di comunicazione tra gli eserciti per prevenire gli incidenti – sospesi dalla visita di Nancy Pelosi a Taiwan nell’agosto del 2022 – , di accordarsi sulla lotta contro il traffico di fentanyl – responsabile di più di 75 mila morti all’anno negli Stati Uniti –, di avviare delle discussioni sul limite al ricorso all’intelligenza artificiale, in particolare nel campo delle armi nucleari. Questi passi avanti restano limitati.

La Cina, alla vigilia delle elezioni presidenziali del 13 gennaio 2024 a Taiwan, ha insistito sul fatto che nulla potrà fermare la riunificazione, mentre gli Stati Uniti hanno ribadito la loro posizione che unisce l’assenza di sostegno all’indipendenza e il rifiuto di una presa di controllo dell’isola con la forza – fatto che implica la fornitura di armamenti per far fronte alle minacce di invasione e di blocco sventolate da Pechino. La Cina non ha dato seguito alla richiesta degli Stati Uniti di intervenire presso la Russia e l’Iran al fine di evitare qualsiasi escalation nelle guerre in Ucraina e a Gaza. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non hanno ceduto sull’arsenale delle sanzioni economiche e l’embargo sui semiconduttori che prende di mira Pechino. I due paesi non si sono accordati né su un’architettura di dialogo globale, né sull’approccio verso le sfide planetarie rappresentate dalle pandemie, dal cambiamento climatico e dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa. In sostanza, nulla è cambiato. 

La rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina è totale e si iscrive nella lotta spietata lanciata dagli imperi autoritari contro le democrazie, che non lascia spazio a una pace stabile e durevole. La Cina non ha rinunciato né al suo totalitarismo digitale, né al suo imperialismo, né alla sua volontà di soppiantare gli Stati Uniti all’orizzonte 2049, né tantomeno all’ambizione di costruire un ordine post occidentale. Gli Stati Uniti portano avanti la loro strategia di contenimento economico, tecnologico e militare di Pechino, che costituisce l’unico punto di consenso tra democratici e repubblicani. Ma bisogna constatare che l’atmosfera è cambiata a San Francisco. 

Joe Biden ha imposto l’approccio americano della gestione ragionata della competizione tra le potenze e la sua agenda. Xi Jinping ha effettuato un ritiro tattico dinanzi al fallimento della sua strategia di scontro frontale e cerca di convincere i dirigenti delle grandi aziende americane a reinvestire in Cina. Questa evoluzione riflette lo scivolamento in favore degli Stati Uniti del rapporto di forza tra i due giganti che dominano la storia del Ventunesimo secolo. Xi Jinping paga a caro prezzo l’errore di aver lanciato troppo presto la sua offensiva contro gli Stati Uniti, puntando sul loro declino ineluttabile dopo il susseguirsi del crack del 2008, delle guerre perse in Iraq e Afghanistan, della passività dinanzi all’annessione dell’Ucraina da parte della Russia, e in seguito del salvataggio del regime di Damasco da parte della Russia e dell’Iran, dei danni provocati dall’instabilità delle passioni populiste e della guerra culturale  (…). 

Il pil degli Stati Uniti, oggi, è del 50 per cento più elevato rispetto a quello della Cina, mentre era un terzo cinque anni fa. La crescita e i guadagni di produttività sono ora più elevati, fatto che mette in discussione lo scivolamento ineluttabile della leadership economica e tecnologica verso la Cina. Il soft-power americano ha ritrovato potenza e attrattività. Infine, Washington, in occasione delle guerre d’Ucraina e di Gaza, ha dato una dimostrazione di forza militare e diplomatica, con uno spettacolare ritorno in Europa e in medio oriente, ricordando che le sue forze armate non hanno eguali al mondo per potenza e qualità, per cultura ed esperienza nei combattimenti, per la rete delle alleanze e le basi che le appoggiano. La storia è lungi dall’essere conclusa, come ci ricordano le elezioni presidenziali americane del 2024, che potrebbero vedere il ritorno al potere di Donald Trump. L’incontro a San Francisco rappresenta una tappa modesta all’interno del vasto scontro di civiltà, ma ci fornisce degli insegnamenti preziosi. Il Ventunesimo secolo non sarà necessariamente cinese. Gli imperi autoritari, di cui la Cina è il modello, non sono né infallibili né invincibili. Le democrazie sono avvantaggiate quando definiscono e applicano delle strategie a lungo termine e danno prova di coerenza e pazienza. Il loro declino non ha dunque nulla di ineluttabile, e negarlo dipende soltanto dalla volontà dei loro cittadini e dalla lucidità dei loro dirigenti, sia negli Stati Uniti che in Europa.

Di più su questi argomenti: