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L'antisemitismo che in Francia si annida a sinistra. Un'analisi storica

Michel Dreyfus cataloga le cinque forme di intolleranza e odio verso gli ebrei, dal Diciannovesimo secolo a oggi. Scrive il Monde (19/11)

Fra le molteplici conseguenze, il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese pone nel nostro paese (la Francia, ndt) la questione dell’antisemitismo a sinistra. Il rifiuto della France insoumise di qualificare Hamas come un’organizzazione terroristica alimenta il discorso secondo cui la sinistra francese sarebbe intrinsecamente antisemita. Qual è la verità? Dai primi socialisti ai nostri giorni, tutte le componenti della sinistra hanno effettivamente tenuto dei discorsi antisemiti, ma in proporzioni molto variabili fra loro. Questo antisemitismo di sinistra ha assunto cinque forme.

 

Comincia come un antigiudaismo economico, che poggia su un antigiudaismo vecchio e potente nella Francia cattolica dell’inizio del Diciannovesimo secolo. L’immagine dell’ebreo, approfittatore e usuraio, acquisisce un nuovo vigore con la comparsa del capitalismo che alcuni socialisti utopisti, tra cui Proudhon, assimilano a “Rothschild”; ma Saint-Simon e Louis Blanc non sono ostili verso gli ebrei. La seconda forma appare negli anni Ottanta del Diciannovesimo secolo, con l’antisemitismo moderno. Le organizzazioni operaie nascenti sono infettate dalla xenofobia e dall’antisemitismo dell’estrema destra. Ma con l’affaire Dreyfus, la sinistra capisce, grazie a Jaurès, che deve rompere con gli antisemiti. Questa svolta è di capitale importanza e da allora la sinistra combatte l’antisemitismo, fatta eccezione per qualche militante di estrema sinistra che continuerà a flirtare con esso; un eco di questo atteggiamento lo ritroviamo oggi. 

Una terza forma appare negli anni Trenta del Novecento. Traumatizzata dal fatto di non aver potuto impedire la Grande guerra, e non capendo la novità del nazismo, una parte importante della sinistra difende un pacifismo rassegnato. L’estrema destra difende all’epoca un antisemitismo massiccio, in particolare contro Léon Blum. Numerosi socialisti pacifisti considerano gli antifascisti responsabili perché invocano la fermezza nei confronti di Hitler. Questi pacifisti tengono un discorso antisemita sempre più disinibito; alcuni collaboreranno con Vichy. 

 

Una quarta forma appare all’interno dell’ultrasinistra: il revisionismo negli anni Cinquanta e, due decenni più tardi, il negazionismo. Il primo minimizza il genocidio; il secondo lo nega, accusando gli ebrei di trarre vantaggio dalla sua memoria. Entrambi poggiano su un marxismo sommario, sul rigetto della democrazia e dell’antifascismo. Sono concepiti da due militanti che stringono presto dei legami con l’estrema destra. Limitato inizialmente a un piccolo gruppo, il negazionismo vede inseguito il suo pubblico allargarsi. 

La critica del sionismo, e in seguito di Israele a partire dal 1948, produce una quinta forma di antisemitismo nell’estrema sinistra. Fino al 1914, la Sfio si è interessata poco al sionismo, allora molto minoritario; in seguito adotta un atteggiamento più aperto, prima di apportare il suo sostegno a Israele. Il Partito comunista francese rigetta anzitutto il sionismo, poi, dopo aver sostenuto brevemente Israele ai suoi inizi, prende le distanze da esso, non senza qualche scivolone. Per l’estrema sinistra, il sionismo è una forma di colonialismo. Dopo la Guerra dei sei giorni (1967), milita sempre di più in favore dei palestinesi e manifesta la propria ostilità verso lo stato ebraico. La questione del rapporto tra antisemitismo e antisionismo ha continuato ad aggravarsi da allora, con un antisionismo che nasconde talvolta un antisemitismo strisciante. Con la scomparsa dell’Urss nel 1991 e delle democrazie popolari, la figura del palestinese è diventata per l’estrema sinistra il portabandiera della rivoluzione che verrà.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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