Marcia contro l'antisemitismo a Parigi (LaPresse)

Un foglio internazionale

La comunità ebraica in Francia si sente isolata come mai era successo dalla Shoah

Profondamente preoccupato per la diffusione dell’antisemitismo sul territorio nazionale, Maurice Lévy lancia l’allarme sul pericolo. L'articolo suil Monde

Con 1.040 atti antisemiti recensiti in un mese, siamo ricondotti alle ore più buie del pre-guerra – scrive Maurice Lévy sul Monde –. Non vi infliggerò la lista di questi atti che creano un clima di insicurezza e, per molti, di paura. Non ci sono stati ancora morti, ma sappiamo tutti che questi movimenti possono facilmente scivolare verso il tragico. Cosa stiamo facendo noi per evitare il peggio?

L’11 aprile 2002, ho firmato un articolo sul Monde intitolato: “Ne pas nommer l’antisémitisme, c’est l’accepter”. Sono passati più di vent’anni. L’antisemitismo stava riapparendo. I poteri pubblici dell’epoca non volevano accettare l’idea che, sì, c’era un nuovo antisemitismo, sempre più violento, differente da quello veicolato dalla destra tradizionale; un antisemitismo legato al conflitto del vicino oriente e importato nelle nostre periferie, radicato nelle nostre cité, incoraggiato, e anche provocato dagli islamisti radicali, mentre l’estrema sinistra e alcuni ecologisti nel migliore dei casi chiudevano gli occhi e nel peggiore lo giustificavano, quando addirittura non vi contribuivano. Dai crimini di sangue agli attentati terroristici, la coscienza dei governi è stata risvegliata e, da Nicolas Sarkozy fino ad oggi, lo stato ha preso molto sul serio questa minaccia, riconoscendo non solo gli atti antisemiti per quello che sono, ma lottando con sincerità contro qualsiasi violazione della dignità umana e dell’integrità fisica. 

Più recentemente, il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha tenuto ad assimilare “antisionismo” e “antisemitismo” – in conformità con le disposizioni europee – poiché è vero che dietro l’antisionismo si nasconde il peggiore antisemitismo esistente, soprattutto nelle menti più fragili. La grande differenza tra il 2002 e il 2023 è che l’antisemitismo è stato riconosciuto, chiamato con il proprio nome. E dopo? Confesso di interrogarmi oggi sul senso del mio articolo di vent’anni fa. Chiamando l’antisemitismo per ciò che è, pensavo ingenuamente che sarebbero state prese tutte le misure per soffocare il fenomeno che stava riemergendo. Immaginavo anche che, in nome dei valori della Repubblica, tutti si sarebbero alzati in piedi come un solo uomo in un movimento di condanna senza riserve. Ma se i poteri pubblici e, bisogna dirlo, la maggior parte dei media, hanno preso la misura del pericolo, dove sono gli altri – i pensatori (ce ne sono ancora?), le Ong che si qualificano come umanitarie, i portabandiera del motto repubblicano, e più in generale la solidarietà nazionale? 

Tutto accade come se prendere come bersaglio una parte della popolazione, la meno amata, la più facile da attaccare – “Suvvia, si tratta solo di ebrei” – non avesse alcuna incidenza su ciò che è la nazione nella sua interezza, sulla sua unità, sul suo futuro. Cedendo in nome del “non fare troppo scandalo” e per raggiungere obiettivi elettorali poco gloriosi, è la base della nostra società a essere indebolita. 

Dal 7 ottobre, la maggior parte dei francesi ebrei si sente abbandonata, in una forma di insicurezza fisica e psicologica. Mai, dai tempi della Shoah, la comunità ebraica di Francia si era sentita così isolata. Nove ostaggi francesi ebrei sono ancora nelle mani di Hamas. Non dubito che le autorità faranno tutto il possibile per farli liberare, ma dove sono le municipalità? I grandi ritratti sugli edifici statali? Dove sono gli intellettuali sempre pronti a scrivere? Le Ong, che abbiamo sentito parlare dopo i bombardamenti di Gaza, ma poco o per nulla dopo i massacri di Hamas? Le associazioni che si dicono umanitarie? La sinistra umanitaria? Anestesia colpevole. Mutismo selettivo. Indignazione a due velocità.

(Traduzione di Mauro Zanon)

Di più su questi argomenti: