Un Foglio internazionale
Le dure lezioni dell'Armenia per il diritto internazionale
Il giurista Kontorovich spiega che gli armeni del Nagorno Karabakh hanno tutto da perdere dalla configurazione internazionale, scrive il Wall Street Journal (26/9)
Una caratteristica centrale del cosmopolitismo moderno è l’idea che le istituzioni transnazionali possano gestire i conflitti interstatali vecchio stile facendo affidamento sullo stato di diritto, sul dialogo e sulla prosperità economica” scrive Eugene Kontorovich, professore presso la George Mason University e direttore del suo Centro per il medio oriente e il diritto internazionale. “Secondo la teoria, se uno stato dovesse diventare una canaglia, l’ordine internazionale lo punirebbe con freddezza diplomaticamente ed economicamente. Ciò si rivela spesso una fantasia, come dimostra la conquista della Crimea da parte della Russia nel 2014. La sconfitta più recente è stata il Nagorno-Karabakh, un’enclave all’interno dell’Azerbaigian rivendicata dai separatisti armeni. Come molti conflitti antichi, i diritti storici e i fatti attuali sono fortemente contestati. Ma ci sono azioni forti da entrambe le parti.
Quando l’Azerbaigian e l’Armenia facevano entrambi parte dell’Unione Sovietica, il Karabakh era un distretto semiautonomo a maggioranza armena all’interno dell’Azerbaigian. Ciò non aveva molta importanza, considerando che il Cremlino governava entrambi. Quando l’Urss cadde, i suoi confini interni divennero estremamente importanti, perché in base a una regola assoluta e fondamentale del diritto internazionale un nuovo paese eredita i confini della precedente entità amministrativa, indipendentemente da quanto ingiuste fossero quelle demarcazioni. Ciò avrebbe significato che il Karabakh non avrebbe fatto parte dell’Armenia, il che portò a una guerra tra il 1988 e il 1994. Le forze armene hanno vinto, mettendo in sicurezza il territorio e le circostanti aree montuose dell’Azerbaigian che si trovano tra l’enclave e l’Armenia. Una seconda guerra, nel 2020, si è conclusa con significativi guadagni azeri.
La conquista del Karabakh da parte dell’Azerbaigian rappresenta legalmente una liberazione del proprio territorio, anche se su quel terreno non ha mai effettivamente avuto il controllo dopo l’indipendenza. I fatti legali, per inciso, hanno una sorprendente somiglianza con la posizione giuridica di Israele quando ottenne la Giudea e la Samaria – la Cisgiordania – dalla Giordania nel 1967, dopo che nella Guerra d’indipendenza del 1948 Amman si era impadronita del territorio e aveva espulsi gli ebrei che l’abitavano. Ma il diritto internazionale non sostituisce la giustizia o la moralità. L’Armenia ha antichi legami con l’area, che ospita una delle chiese cristiane ortodosse più antiche del mondo. La maggior parte della sua gente è armena, che non vuole essere portata nell’ovile azero dopo i ricordi dei pogrom del XX secolo. Dal conflitto emergono alcune lezioni. Il primo riguarda la forza dell’istinto sulle istituzioni. L’assalto finale dell’Azerbaigian al Karabakh non è stato una risposta ad alcuna immediata aggressione armena. Un’altra lezione riguarda la difesa. I paesi che affidano la propria sicurezza a protettori stranieri – come ha fatto l’Armenia con la Russia – lo fanno a proprio rischio. Forse la comunità internazionale avrà pietà del più debole, ma è una scommessa rischiosa.
La lezione finale è storica. La solidarietà religiosa o etnica era una delle motivazioni nelle guerre e nella politica internazionale. La Turchia è il principale alleato dell’Azerbaigian, ma tali considerazioni non sembrano più guidare l’occidente cristiano. Che Dio aiuti quegli stati che devono restare soli”.
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