un foglio internazionale

Protestare contro il divieto dell'abaya? Uno “sciopero sbagliato” in Francia

La tunica che copre il corpo da capo a piedi è indossata da sempre più ragazze. Una critica al  liceo che si mobilita “contro l’islamofobia”. L'articolo del Figaro

Lo sciopero lanciato da una parte del personale del liceo Maurice-Utrillo a Stains era anzitutto motivato dalle rivendicazioni sindacali di risorse umane e materiali per accogliere meglio gli studenti. Comincia così l’articolo della saggista Fatiha Agag-Boudjahlat, autrice del libro “Combattre le voilement” (Cerf),  che continua: una parola d’ordine supplementare, e infamante, vi è stata aggiunta, forse da parte dei sindacalisti Sud e di alcuni membri del personale scolastico, spesso reclutati a livello locale in una logica di “grandi fratelli del quartiere”. Il volantino distribuito indica: “Teniamo a dissociarci dalla politica islamofoba del governo (…). Non siamo la polizia del costume. Rifiutiamo di stigmatizzare gli allievi che indossano un’abaya o un qamis”. Così facendo, tradiscono la loro missione e, peggio ancora, tradiscono i loro allievi, rinchiudendoli ancor di più in un ghetto comunitario. 

 

C’è una manipolazione dei giovani, ai quali si offre soltanto lo specchio di ciò che sono per via dell’educazione che hanno ricevuto senza dar loro una prospettiva di ciò potrebbero essere e fare. Gli stessi, tartufi, che si oppongono all’idea dell’uniforme manifestano per normalizzare l’uniforme islamica riservata alle ragazze, prigioniere degli ordini patriarcali del pudore, della discrezione e della verginità. E’ grave, perché si mischiano rivendicazioni sociali e comunitarie, in una città dove il consiglio comunale, se è a immagine della città, ne mostra il carattere di ghetto etnico e all’insegna del comunitarismo. Nessuna diversità in questo consiglio comunale. Questa parola d’ordine aggiunta per fare rumore a livello mediatico è inaccettabile perché alcuni membri del personale, funzionari dello stato e assimilati, accusano lo stato francese di un crimine che fa scorrere tanto sangue quanto inchiostro, in particolare in Francia. Non si scrive una frase di quel tipo quando un insegnante è stato accoltellato a morte e in seguito decapitato. E, forte della mia esperienza di insegnante nelle zone di educazione prioritaria per diciotto anni, so bene che esiste una parte del personale scolastico che fa da polizia del costume, redarguendo le ragazze non sufficientemente coperte, ammonendo gli allievi che mangiano carne non halal o che vanno a scuola durante il ramadan. Non devono fare la polizia del costume, ma sono di fatto una lega della virtù islamica. 

 

Già l’anno scorso, a Marsiglia, degli assistenti educativi avevano fatto sciopero “contro l’islamofobia e le discriminazioni negli istituti scolastici”. Si erano introdotti con violenza nell’ufficio del preside, aiutati dalla Cgt (il sindacato vicino alla sinistra radicale, ndr), per opporsi al rifiuto coraggioso di questo preside di accettare che sempre più studentesse indossassero il “djilbeb”. Gli assistenti le lasciavano entrare, contro le istruzioni del preside. Il reclutamento degli assistenti educativi è un vero problema. Sono scelti sempre più per la loro somiglianza e la loro prossimità “culturale” al pubblico di studenti che devono inquadrare. Di fatto, si crea una connivenza comunitaria, e non è il regolamento dell’edificio ad essere applicato, ma i costumi degli uni e degli altri. E alcuni insegnanti si schierano dalla loro parte. Insegnanti che non abitano in questi quartieri, che mai metterebbero i loro figli in questi istituti, e che, per vigliaccheria non rivendicata dunque mascherata da lotta per il diritto delle ragazze di disporre il proprio corpo, per la convenienza di acquistare la pace sociale, non fanno rispettare le regole di laicità. 

 

I sindacalisti della Cgt e di Sud sono in concorrenza per conquistare questi insegnanti e questi sorveglianti. Tradiscono dunque la natura del sindacalismo per degli slogan comunitaristi. Questa parola d’ordine richiede una risposta chiara del provveditore agli studi e del ministro. I contratti degli assistenti educativi devono essere stracciati per insufficienza professionale. Gli insegnanti e funzionari implicati devono essere incolpati e i più virulenti allontanati. Hanno tradito le loro missioni e l’interesse dei ragazzi. Hanno aggiunto uno strato di ghetto a un ghetto. E che il ministero, il rettorato e il Consiglio regionale si decidano a portare avanti una vera politica di mescolanza etnica, culturale e sociali liberando questi licei dalla logica di questi quartieri. E’ questa mescolanza che alzerà il livello. Tutto comincia con la distinzione. Poi prosegue con la separazione. L’obiettivo è la secessione. Che ingenuamente, poeticamente, cinicamente, si chiama multiculturalismo.

Di più su questi argomenti: