Foto Ansa

Un foglio internazionale

“L'invasione dell'Ucraina è un miraggio tipico delle élite politico-militari russe”

Lo specialista dell’esercito russo Dimitri Minic analizza le molle retoriche e ideologiche che hanno portato alla guerra, scrive il Monde (19/5)

Le Monde – In cosa consiste la teoria dell’elusione della lotta armata che si è progressivamente imposta nell’esercito russo a partire dagli anni Duemila? 

Dimitri Minic – All’inizio degli anni Novanta, dei teorici militari russi hanno cominciato a sottolineare l’importanza degli strumenti e dei metodi non militari, e militari indiretti, per raggiungere degli obiettivi politici decisivi. Secondo loro, non solo la lotta armata non è più obbligatoria per ottenere dei progressi, ma, nel caso in cui dovesse essere necessaria, dovrebbe occupare soltanto uno spazio limitato e finale nella guerra. Ciò si è tradotto nell’esplorazione di concetti e strumenti precisi: la guerra delle informazioni, le azioni indirette e asimmetriche, il ricorso a delle formazioni armate irregolari, l’impiego di forze speciali, la dissuasione strategica, etc.: tutto ciò che in occidente viene qualificato un po’ frettolosamente come “guerra ibrida”. Questi teorici non si sono messi d’accordo su un concetto che ingloberebbe la totalità di questa riflessione molto plastica, ma può essere riassunto con l’espressione ‘elusione della lotta armata’, che permette di prendere in considerazione la ricchezza e le sfumature di una riflessione strategica lunga trent’anni, la cui idea di partenza è l’arretramento della lotta armata. Questa strategia dell’elusione ha invaso progressivamente i discorsi degli ufficiali militari e le dottrine. 

Perché questa teorizzazione è in rottura con il pensiero militare ereditato dall’Unione sovietica? E perché la Russia ha deciso di cambiare la sua strategia? 

Storicamente, il pensiero militare sovietico era rivolto verso lo studio della lotta armata e della sua preparazione, fondato su una lettura classica di Carl von Clausewitz (teorico militare prussiano vissuto tra il 1780 e il 1831), secondo cui la guerra è considerata anzitutto e soprattutto come una violenza armata. Il fatto che Lenin si sia appropriato di Clausewitz ha permesso all’esercito sovietico di far sua questa visione. Era un’interpretazione militare e ideologica di cui i teorici revisionisti degli anni Novanta hanno cercato di sbarazzarsi. La ragione principale di questa evoluzione teorica della lotta armata verso l’elusione è la percezione favoleggiata della guerra fredda, secondo cui Washington sarebbe riuscita, secondo i teorici militari russi, a uccidere l’Urss senza farle la guerra e, in questo modo, “a ottenere la più importante vittoria dell’umanità”, per riprendere le parole del generale Ceban. Quest’ultimo ha occupato dei posti dirigenziali presso il Centro di studi strategico-militari dello stato maggiore generale e il Servizio federale delle frontiere, oggi integrato all’Fsb, il servizio responsabile della sicurezza interna della Russia, dal quale è uscito Vladimir Putin.

Si possono considerare le “azioni indirette” portate avanti dalla Russia in Ucraina tra il 2014 e il 2022 come un esempio di elusione?

Le azioni strategiche della Russia contro l’Ucraina, dall’annessione della Crimea all’“operazione militare speciale”, riflettono la teorizzazione dell’elusione. Sono state efficaci? No. Le élite militari e politiche russe hanno palesemente sopravvalutato l’efficacia di questa strategia per raggiungere degli obiettivi politici decisivi. Il problema è che questa sopravvalutazione è il cuore stesso della teorizzazione dell’elusione. I pensatori militari russi si sono convinti, sbagliando, che gli occidentali fossero dei maestri in materia, che riuscissero a raggiungere obiettivi grandiosi (crollo dell’Urss, “rivoluzioni colorate”, “primavere arabe”, etc) senza impegnarsi apertamente in una lotta armata. I russi si sono ispirati a questa pratica ampiamente immaginaria, peraltro dopo averla condannata. E i tentativi di applicazione di questa teorizzazione sono stati tutti dei fallimenti in Ucraina. I successi operativi e strategici della Russia in Ucraina nel 2014-2015 non si sono tradotti politicamente, poiché Kiev non ha mai applicato gli accordi di Minsk II, nel febbraio 2015: accordi che avrebbero potuto innescare la federalizzazione del paese. Questi successi relativi hanno soprattutto fatto dimenticare che la decisione di Putin era fondata su un miraggio tipico delle élite politico-militari russe: la convinzione che il cambio di potere a Kiev fosse un colpo di stato sponsorizzato da Washington. La direzione politica e militare russa ha abbondantemente sopravvalutato la sua capacità di mettere in pratica la strategia dell’elusione, perché attraversata da convinzioni e da un modo di pensare che la allontanano dalla realtà obiettiva e che hanno formattato la teorizzazione dell’elusione. I limitati successi militari di Mosca in Ucraina nel 2014-2015, dovuti in gran parte alla debolezza dello stato ucraino e del suo esercito, hanno occultato queste mancanze inerenti alla teoria e alla pratica strategiche russe. Ma il fallimento dell’“operazione militare speciale” le ha messe in evidenza.

(Traduzione di Mauro Zanon)

Di più su questi argomenti: