Putin, Trump e la Brexit. Il filo rosso della guerra ibrida contro l'occidente

Paola Peduzzi

Il teorema del caos contro l'occidente: un freno al progetto sovversivo del capo del Cremlino a Londra, non al trumpismo 

Milano. L’incriminazione di Donald Trump è una prima volta di grande portata nella storia americana, una linea attraversata che porta il paese in un territorio inesplorato dal punto di vista legale e da quello politico. Un altro tabù è stato sfatato da un ex presidente che ha fatto dello sconvolgimento e della destabilizzazione le sue cifre, in nome di una palude (liberale e democratica) da bonificare e di un’America grande da ripristinare. Gli effetti di questa incriminazione saranno più chiari nelle prossime settimane, i repubblicani l’hanno già definita “un-American”, non americana, che era il termine che aveva utilizzato Joe Biden alle elezioni di metà mandato del novembre scorso per indicare la volontà dei trumpiani di non riconoscere l’esito del voto se non in caso di vittoria. La presidenza Trump ha imposto una continua torsione al sistema istituzionale americano e al suo rapporto con il resto del mondo, mettendo in circolo una serie di fissazioni che sono ancora presenti e che si autoalimentano, come dimostra l’epica dell’arresto ingiusto introdotta da ultimo che si somma al mito fondativo del trumpismo, che è la “big lie”, il cosiddetto imbroglio dei democratici che hanno assegnato la vittoria delle presidenziali del 2020 a Joe Biden, che quindi è un impostore. 

 

La vicenda di Trump condiziona e condizionerà ancora la politica americana e quindi anche quella del resto del mondo, perché nel frattempo è cambiato tutto: l’invasione di Vladimir Putin in Ucraina ha non soltanto rinvigorito l’unità dei paesi democratici ma ci ha anche costretti a riguardare l’ultimo decennio con occhi meno tolleranti e speranzosi di quelli utilizzati fino a quel punto anche dallo stesso presidente Biden. Non soltanto le operazioni degli “omini verdi” in Ucraina nel 2014 ora sono un’inequivocabile prima invasione russa, ma le campagne “ibride” della Russia in occidente non appaiono più come un’ingerenza temporanea, il blitz della fabbrica di troll del “cuoco” di Putin, ma come tasselli della politica di sovvertimento dell’ordine mondiale che oggi Putin dichiara senza più alcun infingimento. Donald Trump è il frutto di una di queste campagne ibride, non soltanto per le ingerenze che sono state verificate dal report sul Russiagate alle elezioni del 2020, ma perché rappresenta una minaccia piantata dentro al sistema americano e liberale, fatta di propaganda, falsità, manipolazioni, e forse crimini. C’è un filo rosso che lega il progetto di Putin contro l’occidente e il trumpismo – anche il post trumpismo, visto che uno dei ritornelli di Trump oggi è “fare la pace” in Ucraina secondo le condizioni putiniane. 

 

E’ un filo di caos, sovvertimento, tabù spezzati, miti complottisti che la politica, in America, non è ancora riuscita a tagliare: il seguito di Trump c’è eccome, tra gli elettori e dentro al palazzo. A ben vedere anche la Brexit è un frutto di questo progetto di sovvertimento globale. Le ingerenze russe nella campagna a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sono state dimostrate, così come è abbastanza chiaro che questo divorzio ha alimentato moltissime pulsioni illiberali in parecchi paesi occidentali. La guerra di Putin però, in questo caso, ha fatto da correttivo. Londra non è mai stata tanto vicino all’Europa negli ultimi sei anni quanto lo è adesso. A differenza di quanto è accaduto negli Stati Uniti, dove la politica di Trump non è stata rifiutata se non parzialmente alle midterm, nel Regno Unito gran parte dei sostenitori della Brexit, politici ed elettori, hanno avuto un ripensamento, non ideologico, ma di fattibilità del progetto stesso. La guerra di Putin ha accelerato questa consapevolezza, non soltanto perché nel frattempo l’uscita dall’Ue ha mostrato tutti i suoi costi e di conseguenza ha svelato le fantasie su cui era fondata (il premier Rishi Sunak ha abbandonato l’idea della Global Britain, per dire), ma perché s’è resa necessaria e urgente l’unità occidentale contro l’aggressione militare di un regime.

 

Questo non vuol dire che Londra chiederà di rientrare nell’Ue, però ha iniziato a rimettere in sesto i suoi rapporti con Parigi e Berlino e ha restaurato il dialogo con Bruxelles. Qualche giorno fa il Financial Times, citando fonti inglesi ed europee, ha detto che sono stati fatti passi rapidi e insperati nell’avviare una più stretta collaborazione su difesa e sicurezza: la firma dell’accordo sul Protocollo nordirlandese ha creato una fiducia tra le due parti che non c’era da molto tempo. Il Regno Unito brexitaro sta mostrando che si può porre, con la politica, un freno alla guerra ibrida di Putin, la quale funziona soltanto se trova alleati e produce frutti in occidente.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi