Vladimir Putin (foto LaPresse)

L'isteria antirussa in America

Redazione

Nessun complotto, solo accuse stridule ed esagerate, secondo il National Interest

La questione della presunta interferenza della Russia nell’elezione presidenziale americana del 2016 ha intensificato una già profonda e acuta frattura”, ha scritto sul National Interest Ted Galen Carpenter, saggista e senior fellow del Cato Institute.

 

“I democratici e la più ampia comunità dei progressisti sostengono che una fazione ostile del paese si sia impegnata per la sconfitta di Hillary Clinton e per l’elezione di un presidente che potesse essere influenzato, o addirittura controllato, da Mosca. Queste accuse sono diventate sempre più stridule ed esagerate. Nel corso della loro evoluzione, hanno raffreddato il dibattito della politica americana nei confronti della Russia e creato un’atmosfera di intolleranza e giustizialismo che rimanda purtroppo all’era maccartista degli anni Cinquanta.

 

Altri progressisti hanno ampiamente gonfiato la presunta minaccia della Russia alla sicurezza americana e alla libertà interna al paese. Durante la stessa campagna del 2016, la Clinton ha insinuato che Donald Trump sarebbe stato ‘la marionetta di Putin’. Come illustrano il disprezzo per Trump della Clinton e l’attacco di Heilemann nei confronti di Nunes, l’isteria progressista sulla questione russa si incastra perfettamente con la tendenza a mettere in discussione l’integrità di chiunque dubiti di questa narrativa, secondo cui la Russia minaccerebbe l’esistenza dell’America e la preservazione del suo sistema democratico. Bernie Sanders esemplifica perfettamente questa strategia con il suo commento su Twitter secondo cui ‘dobbiamo sapere se la politica estera del presidente è al servizio degli interessi del nostro paese o di quelli della Russia’. Anche se si dovesse concedere campo alle accuse di interferenza della Russia nelle elezioni, la reazione dei progressisti rimane comunque esagerata. E’ davvero fuori luogo paragonare il cyber-spionaggio con gli attacchi sanguinari di Pearl Harbour e dell’Undici settembre. In effetti, questo paragone banalizza la tragedia e l’orrore di quegli avvenimenti.

 

Perdipiù, anche se l’interferenza di Mosca fosse avvenuta, non si può chiamare un atto di guerra. Materialmente parlando, non è molto diverso da quello che gli Stati Uniti hanno fatto in dozzine di altri paesi, molti dei quali paesi democratici, per decenni. I progressisti devono correggere la propria rotta di marcia. Quelli che credono sinceramente alla propria retorica stridula devono rinsavirsi un attimo per evitare di soccombere alla sindrome da deragliamento russo. Quelli che invece stanno usando cinicamente l’isteria antirussa, come un club attraverso cui sconfiggere l’amministrazione Trump, devono mettersi in pausa e considerare come le proprie azioni rischino di dare inizio a una seconda ‘guerra fredda’ con l’unico paese militarmente in grado di distruggere l’America. In entrambi i casi, comunque, la loro condotta costituisce un grave danno per il paese”.