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Il Foglio arte

L'orecchio di Adolfo Wildt che ascolta il cuore di Milano

Ivan Carozzi

La grande scultura in bronzo alloggiata dal 1927 in una nicchia accanto a un portone in via Serbelloni

A metà strada tra corso Venezia e Villa Necchi Campiglio, a Milano, si trova la scultura in bronzo di un grande orecchio, opera dello scultore Adolfo Wildt. Sapevo dell’esistenza di questo orecchio, ma non lo avevo mai visto, anche se probabilmente gli ero passato di fronte più volte. E’ stato grazie a un artista e amico, Antonio Rovaldi, che qualche tempo fa ho deciso di andare. “Vai, vai… devi assolutamente conoscerlo”. E così sono andato.

 

L’orecchio si trova al civico 10 di via Gabrio Serbelloni, alloggiato in una nicchia accanto al portone di un palazzo, detto La Cà de l’Oreggia. Accostando le labbra e parlando dentro l’orecchio, un tempo era possibile comunicare con la portineria. Si trattava, di fatto, di una sorta di similcitofono o protocitofono. Mi avvicino all’orecchio in un mattino di sole. E’ carnoso, gonfio di sangue, le pieghe sono morbide, le conche profonde e fantasmagoriche, le sinuosità paurose, il lobo polposo. Ciuffi di capelli bronzei lo lambiscono dall’alto. E’ un’opera dalla natura ambivalente. Da una parte la passione e l’accento quasi tragico impressi nella forma, dall’altra l’aspetto puramente ludico e barocco. L’orecchio venne installato nel 1927, anno V dell’èra fascista. In quello stesso anno, scopro, fu approvato un decreto-legge con il quale si sanciva la possibilità di licenziamento per i dipendenti pubblici sorpresi a esprimere dissenso nei confronti del fascismo. Il primo febbraio due muratori romani vennero condannati al carcere: avevano manifestato ad alta voce la propria delusione di fronte a un fallito attentato al Duce. Chissà se Wildt, mentre modellava l’orecchio, pensò all’orecchio del regime. Più probabilmente non poté non tornare con la memoria a suo padre, che nella vita fu portinaio a Palazzo Marino. 


Il palazzo di via Serbelloni dista pochi metri dall’ingresso della sartoria Domenico Caraceni e si trova dirimpetto alla scuola di ballo Arthur Murray. Sui siti di promozione turistica la zona è stata ampollosamente ribattezzata “il quadrilatero del silenzio”. La pace, tuttavia, è increspata dal singolare ripetersi di guizzi e stravaganze che caratterizzano la vita e le architetture del luogo: il buffo mix gotico, romanico e liberty di Palazzo Berri Meregalli (1911), dal quale affacciano una serie di gargoyle; Palazzo Fidia (1929), che all’epoca della sua costruzione venne definito un esempio di “jazz architettonico”; e poi gli esotici fenicotteri rosa, che zampettano oltre le cancellate eleganti di Villa Invernizzi, in via Cappuccini. Ma forse ha più senso collegare idealmente l’orecchio di Wildt a un edificio che si trova più a nord, in zona Porta Nuova, dalle parti dell’ospedale Fatebenefratelli. Parlo del palazzo al civico 8 di via Monte Santo. Andate a vederlo e alzate lo sguardo fino all’ultimo piano. Nessuno ci fa caso, ma là, scolpita in mezzo a un timpano, vedrete una scritta, citazione di un libro di Alberto Savinio: “Ascolto il tuo cuore, città”.

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