Bizhan Bassiri, Fondazione Bassiri, Fabro. Dal 16 ottobre 2021

Il Foglio arte

Pietra, ottone e acciaio per un “pensiero magmatico”

Francesco Tenaglia

Tra Iran e Italia, l’arte intrisa di spiritualità di Bizhan Bassiri. Il suo studio-galleria ora a Fabro, in Umbria

Filippo Tommaso Marinetti ha aperto le danze nel 1909 divulgando il Manifesto del Futurismo, seguito con ritmo da Cubisti, Vorticisti, Dadaisti, Surrealisti. La dichiarazione d’intenti è un formato che le avanguardie del Ventesimo secolo hanno molto usato per inquadrare il proprio raggio d’azione, per distanziarsi rispetto a quanto “venuto prima” e, perché no, per magnetizzare l’attenzione del pubblico. Chiaramente la convivenza di voci artistiche individuali – per non parlare delle frizioni tra personalità – ha sempre prodotto smottamenti e difformità tra le opere che i libri di storia ricordano con questa o quella etichetta e i proclami iniziali. Più in là, gli artisti contemporanei sono stati meno interessati ad anticipare le proprie mosse in sistemi di pensiero o raggruppandosi in gruppi sodali – almeno a priori, coralmente e sistematicamente – e l’attenzione verso il “manifesto artistico” è andata declinando nel resto del secolo.

 

Bizhan Bassiri – artista nato a Teheran nel 1954, ma in Italia da metà anni Settanta – ha usato il formato (“manifesto del pensiero magmatico”) in modo atipico: iniziato nel 1986, il manifesto non precede, ma segue le intuizioni e la pratica dell’artista, come work in progress. Già questo dice molto: la ricerca dell’artista persiano si estende in illuminazioni progressive, che non sostituiscono ma si assommano, in continuità. Il vulcano quindi diventa metafora di un’azione esplosiva, intuitiva e sintetica, che si sedimenta in costanti riconfigurazioni del paesaggio.

 

Bassiri lavora su cicli di lavori a lunga gittata utilizzando pietra, ottone, acciaio, oro per re-immaginare soggetti come ermi – colonne beneauguranti per i viandanti nelle tradizioni greche e romane – dadi, leggii, spade, specchi solari. Nel 2015 torna nel paese natale, dopo quarant’anni d’assenza, per una mostra personale, presso il Museo d’Arte contemporanea di Teheran, che condensa un’idea d’arte intrisa di spiritualità e mostra chiaramente sia la volontà dell’artista di fuggire tendenze e movimenti, sia il desiderio di fondere tratti delle culture del paese nativo con quelle del paese d’adozione. Appena due anni dopo, nel 2017, Bassiri sarà chiamato a rappresentare l’Iran alla Biennale d’Arte di Venezia con un’installazione asciutta e allegorica. E a ottobre di quest’anno, nasce la Fondazione Bassiri a Fabro, in Umbria: uno spazio di oltre quattromila metri quadrati che l’artista userà sia come studio, sia come collettore di tutti i cicli di lavori pensati negli anni, a partire da un nucleo iniziale di trentadue opere visitabili.

 

La Fondazione si propone di organizzare un evento multidisciplinare all’anno e di promuovere programmi di didattica e di formazione per pubblici di diverse età. Bassiri, però, è già al lavoro sulla prossima serie di lavori – Tempesta – grandi tele dedicate al tema pittorico e letterario della tormenta che sarà presentato in un ciclo di mostre in diverse città italiane ed è introdotta dalla scultura Dimora della Sorte, creata in occasione dell’opening della Fondazione, presso il Museo del Duomo di Città della Pieve non distante quindi da opere a tema sacro del Perugino. Un esito perfetto per l’artista che usa come epigrafe per libri e cataloghi “in nome di Dio”.

 

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