Fortunato Depero, Pagliaccetti (dett.)

Futurismo gialloverde

Michele Masneri

Centodieci anni fa appariva in Francia il Manifesto di Marinetti. Cosa rimane di quel movimento oggi. Ritrovamenti. Raffronti

I francesi, cattivi, ce lo rimproverano: di non celebrare adeguatamente il Futurismo, movimento, come ha ricordato un indignato “Figaro” recente, nato nel 1909. Non solo sforiamo i deficit e usiamo le scarpe come fermacarte, dunque: a parte una mostra a palazzo Reale di Milano dedicata a Carlo Carrà, nulla viene dedicato a Marinetti e i suoi derivati.

 

L’ira castigatrice francese arriva forse perché l’esordio futuristico si ebbe proprio sul “Figaro”, il 20 febbraio 1909, quando Filippo Tommaso Marinetti pubblicò il suo celebre “Manifesto”, in un “francese perfetto”, ricordano, e in forma declamatoria, undici punti poetici-programmatici a partire da quello sull’auto in corsa che come si sa “è più bella della Nike di Samotracia”.

In realtà il Manifesto era già apparso su alcuni giornali italiani, ma fu dalla Francia che ebbe risonanza internazionale.

 

Ma più che la mancanza di celebrazioni - in fondo sono 110 anni, e i 100 furono celebrati adeguatamente nel 2008 (ma ci vogliono imporre i parametri, è chiaro) – ci si può chiedere cosa rimane di futurista in Italia oggi, tra popolo e leaders. Si potrebbe pensare: moltissimo, vista la prossemica e la fisiognomica. Ma andiamo per gradi: sull’auto in corsa, si è messi male: Marchionne non c’è più, la Fca ha sede a Amsterdam, il management ha nomi tutti stranieri; dell’auto in corsa non son rimaste manco le batterie (Magneti Marelli è stata venduta ai giapponesi). Certo, c’è stata la scoperta, nei giorni scorsi, degli affreschi in via Nazionale, a Roma. In un palazzetto di proprietà, e di fronte, alla Banca d’Italia, son stati scoperti i locali di quello che era il “Bal Tic Tac”, primario teatrino di cabaret capitolini, con affreschi di Giacomo Balla in una specie di jazz murale degli anni Venti; diventerà parte del “museo dell’Educazione finanziaria della Banca d’Italia”, fanno sapere, questo il piano odierno (ma magari si useranno gli spazi per stampar moneta, chissà).

 

Dall’età del jazz all’età dello spread, pochi altri rimandi tra le due epoche. La Nike, oggi, ispirerà soprattutto scarpe, è chiaro. Ma anche scendendo nei punti marinettiani, come si dice, luci e ombre.

 

“Il tempo e lo spazio morirono ieri!” (punto 8), è chiaramente in contrasto coi nuovi orari di chiusura della grande e piccola distribuzione (fino alle 21 se non ariani, e la domenica mai comunque al centro commerciale).

 

“Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti” (punto 11 del Manifesto, fondamentale).

 

Sui ponti simili a ginnasti forse si può leggere un rimando ai ponti “da vivere, giocare, mangiare”, del tardo-futurista Toninelli.

 

Mentre le grandi folle agitate dal lavoro è chiaro che adesso aspettano soprattutto il reddito di cittadinanza e la quota 100. Marinetti aveva però forse previsto la fusione Alitalia-Fs, con “le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta”. Le “parole in libertà”, secondo Marinetti, avrebbero dovuto sostituire l’ingessata retorica ottocentesca: e qui sembra proprio che ci siamo.

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