Il Figlio

Dopo una grande litigata, come ci si riconcilia? La resa totale 

Annalena Benini

Manuale immaginario di una tregua fra madre e figlia con le regole da seguire. Ragione e torto e pandoro

Dopo una grande litigata fra madre e figlia, che cosa si fa? Come ci si riconcilia? Me lo chiedo ogni volta che succede e vorrei tanto che ci fosse un manifesto pronto di regole certe. Il prontuario della fine del conflitto, o almeno il manuale della tregua. Regola numero uno: chi deve fare il primo passo? Si va per anzianità o per giovinezza? Penso che dovrei tenere il punto, in fondo avevo ragione io, ma la mia ragione vacilla di fronte al fatto che magari invece ho torto, ho esagerato, e comunque adesso lei pensa che io sono una madre odiosa. 

Abbiamo litigato su WhatsApp, tra l’altro, messaggi scritti e pure audio. Ci sono le prove. È molto meglio litigare dal vivo, così poi non restano le tracce. Devo ricordarmelo per la prossima volta, litigheremo a voce e poi negheremo tutto. Invece adesso ho tutto lì, nella cronologia, forse per sempre, fra vent’anni sentirò la mia voce stridula che dice: non ci credo che hai mal di testa, adesso ti alzi e vai a scuola, entri alla seconda ora.  

E anche lei, magari ha inoltrato gli audio alle amiche, ha mandato gli screenshot dei miei punti esclamativi e si stanno divertendo a imitarmi. Ah, ma io tanto ho ragione. Ma ragione di che?, mi dico mentre passo davanti alla sua porta chiusa. La ragione e il torto si mescolano sempre e a che cosa serve avere ragione se adesso mi sento enormemente in torto? L’unica speranza è che succeda la stessa cosa a lei, o almeno che abbia bisogno di cibo, di soldi, di un biglietto del treno, di un paio di scarpe mie e quindi sia costretta a parlarmi. Quanto posso aspettare? Un giorno, non di più. Come sarebbe bello avere litigato ferocemente con qualcuno al lavoro, o per ragioni di cuore, quanto sarei esaltata nel fare la faccia antipatica e dire: prima devi chiedermi scusa. Dormirei benissimo. Sarei tutta tronfia e piena delle mie ragioni. Sarei tutta tronfia e piena delle mie ragioni. 

Invece adesso guardo il telefono e spero in un cuore. Nessun cuore. Magari un bigliettino in cucina. Nessun bigliettino. Magari un sorriso veloce andando verso il bagno. Niente, probabilmente per protesta non andrà mai più in bagno, almeno finché sa che ci sono io appostata in corridoio che fingo di leggere un libro in piedi. Va bene, esco, in questo manuale immaginario ho letto che bisogna lasciare spazio, lasciare tempo. Vado a lavorare, mi distraggo, spero di riuscire a litigare con qualcun altro per pareggiare. 

Non ci riesco, sono tutti gentilissimi. Che nervi. Cerco la regola numero tre: lascia spazio, lascia tempo, ma non aspettare troppo per fare pace. Mi allarmo, perché quanto è troppo? E che cosa succede al troppo, che lei va a vivere ad Amsterdam e mi lascia il cane? Regola numero quattro: corri a casa e chiedi scusa tu per prima, al diavolo l’orgoglio. Mi sono informata e c’è un treno che parte alle sette e quaranta, ma c’è anche lo sciopero dei mezzi, non ci sono i taxi, non arriverò mai in tempo. Allora decido di fare quello che ho giurato di non fare mai più. Mando un audio, perché non ho il coraggio di telefonare. Un vocale di sette minuti, confuso, pieno di ragioni e torti, con dentro la parola: responsabilità, con dentro anche la parola: scusa, con dentro anche la parola: pandoro. Invio, aspetto, ovviamente lei non lo ascolta per un sacco di tempo e io intanto lavoro con queste persone gentilissime che non mi permettono di litigare. Finalmente risponde, il messaggio più bello mai ricevuto: ok, pandoro.

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