I libri gialli, Vincent Van Gogh (1887) 

Il figlio

È iniziata la scuola, tutti in fila per i libri da vendere e comprare

Annalena Benini

Durante l'attesa interminabile alla cassa, all’improvviso ho visto la mia fine sul tuo viso: è entrata la professoressa di greco

E quindi è ricominciata la scuola. Significa che ho passato tre ore in una libreria di libri scolastici in fila con altre madri (padri, stavate giocando a biliardo? No, scusate, stavate come sempre salvando il mondo) e significa anche che ho speso tutto, poi tornando casa a piedi mi si è rotta la busta dei libri e comunque ho le piaghe nelle mani e un taglio sull’avambraccio all’altezza del gomito. 

Due liste di libri, due file diverse, una per vendere, una per comprare. Per la prima volta ho avuto il coraggio di vendere dei libri, visto che mio figlio ha cambiato scuola e quelli dell’anno scorso vogliamo buttarli nello scantinato della storia. Ho guadagnato un buono da venti euro, subito reinvestito in quaderni, ma ero molto orgogliosa di questo buono e quasi non volevo spenderlo, volevo incorniciarlo: denaro vinto. Mio figlio era indignato, ma come solo venti euro, io allora gli ho detto che non ha nessun senso della realtà, che venti euro significano un libro nuovo di geografia, che i soldi non crescono sugli alberi eccetera, insomma stavamo discutendo, anche con il sostegno di alcune madri con il numeretto in mano e i libri da vendere nel trolley, e altri figli annoiatissimi di essere lì, per nulla grati del nostro sforzo fisico ed economico, quando mio figlio si è appiattito contro una colonna e mi ha sibilato: scappiamo ti prego.

Ma come scappiamo, siamo in fila con le liste in mano, vuoi farmi perdere il posto, me lo sono guadagnato, come tutto, non ci muoviamo da qui. Ha ripetuto: scappiamo ti prego. Era entrata la sua ex professoressa di greco, in effetti, camuffata da madre scarmigliata come noi. Lui è diventato di tutti i colori, ha detto: ho caldo, ho freddo, ho mal di pancia, e io ho capito che era una cosa seria. Gli ho detto: torna a casa, qui faccio io. Non l’ho mai visto così riconoscente. Si è travestito da libro usato di inglese ed è sgattaiolato via. Io sono rimasta per un po’ a pensare a qualcosa da dire alla professoressa di greco, nella mente ho costruito molti discorsi rispettosi e dignitosi, ragionevoli, amichevoli, tipo: mio figlio ha perso il sorriso, lei riesce a dormire la notte?, ma è arrivato il mio turno e tutte le mie forze si sono concentrate sulla montagna di libri da trascinare fuori da lì. La professoressa di greco non mi ha nemmeno riconosciuto perché ero totalmente ricoperta di pagine chiare e di pagine scure, e ne ho approfittato per non salutarla. In fondo il libro di greco ero riuscita a venderlo, che cosa volevo di più? Da un vicolo buio ho sentito una voce adolescente che mi chiamava: mio figlio si era nascosto per aspettarmi. 

Tutto bene, la professoressa starà là dentro per le prossime cinque ore, sei salvo. Siamo tornati a casa zoppicando sotto il peso dei libri, malandati, come due reduci di qualcosa che non saprei definire. Per lui era il ricordo di un anno non bello, e la paura di un anno nuovissimo che sta iniziando, per me la nostalgia di qualcosa che in fondo sta finendo. Quante altre volte mi metterò in fila per i libri a settembre? Quest’anno mio figlio è già più alto di me, con quella voce assurda, con quei movimenti goffi, con quel terrore di studiare. Una volta per strada mi dava la mano, adesso si guarda negli specchietti dei motorini parcheggiati per vedere se ha un’aria abbastanza maledetta e arrabbiata. Sì amore, sei arrabbiatissimo, stai proprio bene, fai più paura della professoressa di greco. Appena ho detto: greco, ha infilato svelto la sua mano nella mia, in silenzio.

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