Foto di Joseph Pérez, via Unsplash 

il figlio

Zero privacy. Sei in famiglia, trenta metri quadrati di casa popolare

Dahlia de la Cerda

"Non volevo diventare una delinquente, né una ladra né fare del male a qualcuno. Semplicemente non sopportavo di vedere mia madre piangere e chiedere prestiti"

Mio padre ha messo incinta mia madre quando lei aveva tredici anni e se l’è portata a casa di mia nonna. È nato mio fratello. L’ha di nuovo messa incinta non appena finita la quarantena e poi se n’è andato e non abbiamo più avuto sue notizie. Dicono che ha già un’altra famiglia; non ne ho idea, amico. Per me la mia mammina è padre e madre. Sono orgogliosamente figlia di una donna combattiva. Lei ha sempre lavorato.(…) Si è ammazzata per dare da mangiare a me e ai miei fratellini. Si è spaccata la schiena per noi. Grazie al punteggio dell’Infonavita ha comprato la casa in cui viviamo. Le è costata 40 mila pesos ed è… com’è che dicono? Una specie di casa popolare.

Sì, amico, erano solo due stanze, il cortiletto, un bagno piccolino, una saletta da pranzo e un po’ di terreno per poterci poi costruire un’altra stanzetta. Il pavimento, quello sì, è bello nuovo, tipo piastrelline. Certo, mia madre ci ha provato a rifarsi una vita. Si è messa con altre due carogne che le hanno fatto fare altri figli e poi se ne sono andati, i bastardi. I maschi se la danno a gambe quando c’è da lavorare sodo. O magari a lei piacevano gli sciacalli, gli approfittatori. La poveraccia non fa che trovare tizi che la sfruttano. Oh, giuro, io non la giudico, veda lei. Dopo le sue avventure sono nati i miei fratellini. Loro li adoro, sincera, li adoro da morire. Sono tre. Siamo sei in famiglia, sei in una casetta di trenta metri quadrati con due stanze. Io e mio fratello maggiore abbiamo la stanza divisa da una tenda: dalla mia parte ci sono un letto e un armadietto, non ci sta altro.

Grande privacy. Zero. Poi chissà perché una si dispera. Mia madre più o meno riusciva a barcamenarsi per mandarci a scuola e darci da mangiare. Poi un giorno la lasciano a casa dalla fabbrica, e tac, fottuti. Il frigo era vuoto. Qui da queste parti si vive alla giornata, ci si arrangia comprandosi il cibo per oggi e sbattendosi alla grande per garantirsi anche quello per domani. Si impara che una volta si ha abbastanza per una zuppa di spaghettini con frattaglie di pollo, pomodoro, un po’ di cipolla, un chilo di tortillas e due litri di cocota, e altre volte invece bisogna pranzare e cenare con una busta di spaghetti e un po’ di concentrato di pomodoro.

Mia madre l’hanno lasciata a casa e con venti pesos dovevamo riempirci la pancia e pagare la rata della casa, la luce e l’acqua. No, amico, non c’era verso. Immaginati due mesi senza un soldo, senza stipendio. Follia. Si è messa male. Guarda, visualizza: il mio brother? Fumato perso. Tutto marijuana e pastiglie, in testa aveva solo la droga; te l’ho già detto che non vale un cazzo. I miei fratellini affamati. E io… io quindici anni e nessuno che mi voleva dare un lavoro. E quelli che me lo davano era tipo sfruttamento, cinquanta pesos per dodici ore. Ti giuro, davvero, ci ho provato sul serio. Ci ho provato perché volevo essere una ragazza perbene. Non volevo diventare una delinquente, né una ladra né fare del male a qualcuno.

Semplicemente non sopportavo di vedere mia madre piangere e chiedere prestiti, non volevo vederla elemosinare un taco a quella strega di mia nonna; mi intristiva troppo guardare i miei little brothers piangere per la fame. Magari per te la mia storia è tipo quella della serie televisiva La Rosa de Guadalupe, perché lì nella tua casa circondata da aree verdi e strade ben pavimentate questo non succede, ma qui capita ogni giorno anche se voi, voi ricconi, non ci credete.

Sono stata circondata da povertà e fame fin da piccola. Sono cresciuta in mezzo alla violenza sperando di unirmi a una pandilla. E per appartenere a qualcosa; per avere una famiglia, un appoggio. Fin da bambina ho bazzicato in questo quartiere, che è fra i più violenti: ci sono risse ogni fine settimana e i cholos, per difendere il territorio, girano con petardi, mazze e persino coltellacci da cucina. Qui hanno tutti i capelli rapati a zero, fedeli alla crazy life. Per uscire da tutto questo non basta volerlo, andare oltre. Queste sono frasi da bianchi. (…) E io pensavo e ripensavo: “E se inizio ad andare a rubare a casa della gente con mio fratello o se mi unisco al Tongolo per rapinare banche?”. Mi faceva paura. Mi limitavo a fantasticare, a fantasticare di delinquere e di potermi comprare le mie cosucce.

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