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il figlio

Riparare il mondo. Colloquio con Maylis de Kerangal, che crede nei figli e nel caos di casa sua

Giuseppe Fantasia

L'autrice di "Riparare i viventi" ci parla di sé e della sua famiglia. “Non mi è mai interessato né mi interessa essere madre, ma dei miei figli sì, questo è l’unico status che mi appassiona"

"Non mi piace dire delle cose ovvie - precisa la scrittrice francese Maylis de Kerangal - ma non posso non notare anche io che stiamo vivendo un periodo difficile tra la pandemia, la guerra e le loro conseguenze. Una via d’uscita c’è ed è un’utopia in cui bisogna credere:  cambiare le nostre vite nonostante tutta la fragilità e l’intensità che caratterizza noi esseri umani. La nostra è una società che anela al cambiamento nonostante tutto, che vuole ribellarsi alle brutture e che reagisce cercando di trovare ancora qualcosa di umano con una grande connessione con la natura. I migliori in tal senso? Sono e saranno i nostri figli e chi verrà dopo di loro”.

  

“I ragazzi di oggi sono degli esploratori attenti, in grado di vedere e fare cose impensabili per noi che apparteniamo a generazioni differenti e che li guardiamo sempre così, imbambolati, tra l’esterrefatto e il sorpreso, tra l’incredulità e l’ammirazione più profonda”. Siamo alla decima edizione di Eventi Letterari Ascona Monte Verità e qui, nella Svizzera italiana - l’autrice di Nascita di un ponte (2015, Prix Médicis e Von Rezzori), Lampedusa e del romanzo che l’ha fatta conoscere in tutto il mondo, Riparare i viventi, tutti pubblicati in Italia da Feltrinelli - ci parla di sé e della sua famiglia. “Non mi è mai interessato né mi interessa essere madre, ma dei miei figli sì , questo è l’unico status che mi appassiona. Ho quattro figli con un’età che varia dai 14 ai 28 anni, non sono più dei bambini ma  hanno bisogno di attenzioni, ognuno a suo modo. Su di me, possono contare, ma sono anche consapevoli che hanno davanti, quando c’è, una mamma imperfetta. Hanno imparato - e io con loro - a dare la giusta importanza al tempo. Sanno che non ci sono sempre per via del mio lavoro, ma sanno anche che possiamo fare diverse cose insieme e condividerle, che poi è vivere”.

  

“Sono loro che mi educano e che mi spiegano cose che ancora non riesco a capire, una trasmissione.che è completamente diversa da quella che ci facevano i nostri genitori. Rispetto a noi, poi, sono aperti anche a cose che non possiamo capire, ma comunque, nel nostro piccolo, facciamo finta di farlo (ride, ndr)”.

   

“La verticalità di trasmissione tra genitori e figli si è arricchita di un’altra verticalità: quella dei bambini verso noi genitori. Sono la nuova generazione che ci educa su questioni legate al clima, al rispetto, alle questioni di genere e alla fluidità”. Capelli castani e sciolti, occhi blu scuro come la maglia e i pantaloni che indossa, Maylis de Kerangal, una delle più grandi scrittrici contemporanee, è “un’eterna sognatrice solitaria” - si definisce - un po’ come le donne protagoniste di Canoe, il suo nuovo libro uscito da poco per Feltrinelli, un romanzo in otto atti al centro del quale c’è Mustang, un romanzo breve, attorno al quale ruotano sette racconti come  satelliti. “Scrivendolo ho tenuto una nota dedicandola a una tribù di donne e alle loro voci che ne raccontano la vita, i desideri, le crepe e  silenzi”. Storie collegate tra loro partendo da uno stesso desiderio: sondare la natura della voce umana. “La mia voce, precisa, è un io più vicino, è il raggiungimento insperato di una crescita e di una liberazione” che ricorda quello di Paula, la protagonista di un altro suo romanzo,

 

Un mondo a portata di mano, ricco di giovani alla ricerca di se’. “Lo siamo stati tutti e i nuovi continueranno, hanno il vantaggio di essere più aperti e più connessi di noi. Quel che continuerà tra genitori e figli saranno le discussioni. Con i miei figli sono sempre costruttive. Ogni volta imparano e imparo. Mi piace il bordello che c’è a casa mia come mi piace quell’energia, perché alla base di tutto c’è il rispetto e la mia (e la loro) consapevolezza che non potrei però mai rinunciare alla mia solitudine, a quella mia stanza tutta per me in cui non li lascio mai entrare”.
 

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