Elaborazione grafica di Francesco Stati 

Il figlio

I disegni dei bambini di Terezin e la forza di colorare una farfalla a pois

Cristiana Caboni

Nonostante le brutalità del campo di concentramento, gli adulti provarono a restituire ai bambini un po' della loro infanzia rubata

Strappati alle famiglie, ospiti di orfanotrofi o rastrellati durante le rappresaglie naziste, nei primi anni ’40 oltre quindicimila bambini ebrei furono internati a Theresienstadt, in Repubblica Ceca. Il campo di detenzione, chiamato anche di Terezín o ghetto dei bambini, era in origine una cittadella fortificata che il regime nazista utilizzò per l’internamento di ebrei intellettuali, artisti e musicisti famosi. Per ingannare il crescente dissenso dell’opinione pubblica internazionale, il campo fu organizzato come un palcoscenico, in modo da apparire pulito, ordinato e funzionale. Secondo la propaganda, il modello ideale di insediamento ebraico consentiva agli ospiti una sorta di autogestione, garantiva inoltre ai bambini un’istruzione di alto livello impartita dai migliori insegnanti e pedagogisti dell’epoca, deportati in gran numero. In realtà Terezin è stato uno dei peggiori lager mai concepiti dalla follia nazista. Nonostante la brutalità e l’ambiente tristemente oppressivo, i prigionieri si riorganizzarono consentendo ai bambini di recuperare una parte di quell’infanzia e innocenza violate.

 

A Friedl Dicker-Brandeis, poliedrica artista austriaca di origini ebraiche, si deve una testimonianza importante di ciò che accadde a Terezin. La donna, internata nel dicembre del 1942 insieme al marito Pavel, insegnò disegno, allestì rappresentazioni teatrali e contribuì al movimento culturale che animò il campo di sterminio. Friedl spronò inoltre i suoi piccoli allievi a dipingere e disegnare affidando alla carta e ai colori le sofferenze di quella vita. Consentì così ai bambini di recuperare, almeno in parte, un equilibrio emotivo. Convinta che l’arte rappresentasse l’interiorità e lo stato d’animo, e che fosse uno degli strumenti di guarigione interiore più efficaci, raccontò ai colleghi le sue teorie, e loro le applicarono nei propri ambiti.

Non sappiamo come riuscì a custodire quelle opere, ma oltre cinquemila disegni furono rinvenuti nel 1945 dall’esercito russo che prese possesso del campo, dentro due valigie nascoste sotto la branda di uno degli edifici di Terezin. A quell’epoca Friedl era già stata assassinata nelle camere a gas di Auschwitz, in compagnia di molti dei suoi bambini. Quei disegni, tuttavia, le sono sopravvissuti e testimoniano le vite e le speranze dei piccoli artisti e di chi, pur consapevole della fine, scelse la strada della bellezza. I colori sono trascinanti: celesti, rosa, marrone e verde. Sfumature scelte con decisione, espressione di pensieri e desideri. Le figure, i contorni e contenuti innocenti, istintivi, sono immagini di speranza e di gioia.

Eppure, tra i fiori compaiono colonne di soldati, uomini e donne dai grandi occhi privi di abiti, con le loro poche cose ammonticchiate sul suolo fangoso, mitra spianati, volti terrorizzati, pigiami a righe dietro un filo spinato. È chiaro, dunque, come i piccoli fossero ben consapevoli della realtà. Anche nelle peggiori condizioni possibili, dunque, l’arte offre un rifugio interiore nel quale trovare e ritrovarsi. La farfalla con ali a pois che la piccola Doris Weisenova disegnò prima di finire nella camera a gas mostra i pensieri di una bambina che, per un istante, aveva dimenticato le atrocità che la circondavano. Un cielo limpido e un prato fiorito. Un mazzo di papaveri rossi e una nuvola piena di sogni non sono solo disegni, ma istanti di profonda libertà interiore. 

Mentre facevo le ricerche per La ragazza dei colori, il libro che ho scritto per Garzanti, mi sono imbattuta in questa notizia che mi ha commossa profondamente: il salvataggio di un gruppo di piccoli esuli ebrei da parte di un intero paese, Nonantola in Emilia-Romagna. Ho immaginato così che fossero quei bambini a disegnare, che i colori li aiutassero a guarire e a custodire la speranza.
     

Il nuovo romanzo di Cristiana Caboni, “La ragazza dei colori” (Garzanti, 293 pp.), è appena uscito in libreria.

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