Jean-Paul Sartre (foto LaPresse/Publifoto)

Il Figlio

L'irregolare

Giacomo Giossi

Intervistare Sartre a Roma ma fuggire per incontrare una ragazza. Vita di Silva

E’ possibile riassumere la vita in un libro? Molti ci provano, alcuni ci riescono, altri come Umberto Silva con Turmac bleu ci buttano dentro direttamente il gusto, la voglia, i desideri e le colpe, le rinunce e le rincorse trasformando un libro e la vita in un pezzo pulsante di Novecento. Un secolo che Umberto Silva ha attraversato da milanese e poi da romano, da scrittore e da regista fino a darsi la forma di psicanalista. Un uomo in perenne e vivace trasformazione e questo libro non è semplicemente il resoconto di un’esistenza, ma la sua stessa impronta.

 

Tutto prende avvio con gli ultimi fuochi della Seconda guerra mondiale per poi correre avanti in una Milano che rinasce, ma senza smentirsi mai: seria, civile e sempre relegata ad essere solo se stessa. Incapace a contenere dentro di sé allo stesso tempo la forza e la leggerezza del sogno.

 

In fuga da un padre anch’esso in fuga, il giovane Umberto Silva ha già  chiare le regole del gioco ovvero giocare e poi sognare ad occhi aperti. Raro è dunque questo racconto autobiografico, perché offre al sogno il ruolo da protagonista. Così come un acrobata più per fantasia che per contraddizione Silva si trova a indossare i panni del comunista di partito e poi quello dell’attore in Partner di Bernardo Bertolucci. Non basta certo improvvisare, ma lui ci mette slancio e porta alla memoria la bellissima immagine di una svagata Tina Aumont che vaga per le strade di Roma, o azzarda un ardito e improbabile incontro con Jean-Paul Sartre. Silva pur non lavorando per alcun giornale propone un’intervista al grande filosofo francese che accetta: i due si troveranno così al bar Giolitti. Il senso di tutto questo? Parlare di filosofia con un gigante del Novecento e poi con una scusa scappare via per un appuntamento già fissato con una ragazza.

 

Avere vent’anni a Roma in quel tempo è già essere letteratura e cinema, filosofia e teatro. Nulla che potrebbe definirsi “grande bellezza” sfiora Turmac bleu, perché qui la bellezza è cosa minuta che si trova agli angoli delle strade o che arriva in faccia improvvisa come una folata di vento. E viene allora il sospetto che questa fuga abbia lo stile e l’eleganza di una rincorsa prima di un lungo salto che ha bisogno di tutto: di arte, rivoluzione, sesso e libri. Tutti questi elementi, questi oggetti preziosi hanno così solo una vera finalità che è quella di dare forma alla realtà e in questo modo determinare ogni immaginabile sogno.

 

Quasi infinita è la lista dei padri che hanno funzione di abbandono, dalla morte del padre esule all’hotel de Milan a quella improvvisa di Alberto Moravia. Umberto Silva vive in uno stato perenne di abbandono da cui trae però la felicità dell’incontro, lo stupore dell’amore gratuito e certo anche qualche grana, ma   è  un piccolo conto  per un’esistenza che ha la forma semplice dei nomi femminili, come quello di Elisabetta, di Marina e di Sonia.

 

E poi la sorpresa finale, la sua stessa paternità che arriva quando i giochi sembrano conclusi e che occupa e riempie la vita quanto tutto e più del tempo precedente. L’arrivo di Sofia cambia la forma agli occhi e alle intenzioni, ora è lui il padre.

 

Umberto Silva rispolvera con la figlia uno smalto che ha il sapore della giovinezza anche nelle distrazioni, un sorta di versione attempata e colta del Bruno Cortona di Gassman ne Il sorpasso, ma meno tragico e più affettuoso. Tradire per amare per sempre, passare gli anni per cambiare forma, ha ragione Raffaele La Capria – come ricorda in postfazione Marta Barone – a definire Umberto Silva come l’unico vero irregolare tra gli scrittori italiani. Silva sfugge ad ogni categoria  non per ambizione, ma perché per i padri come per i figli è difficile dare spiegazioni che non siano gesti sognanti, avventure forse prive di senso, ma la cui bellezza salva ogni giorno.
 

Di più su questi argomenti: