ANSA/SEBASTIANI

Il Figlio

Le belle maledizioni

Simonetta Sciandivasci

Un mondo di incantesimi, sortilegi e streghe, dove i bambini crescono lo stesso

Astrazeneca, forse per via di tutte quelle consonanti, sarebbe stato un nome perfetto e bellissimo per una strega. Una di quelle che non sapevano di essere streghe, come quasi tutte, e venivano catturate, perseguitate e uccise perché erano belle, solitarie, povere e sfortunate. Come quelle streghe, il vaccino Astrazeneca è stato fregato dal “bias di correlazione temporale”, quella fessaggine cognitiva che ci spinge a istituire un nesso di casualità tra due eventi, quando accadono uno dopo l’altro. Esempi: se vengo investita da un tram dopo essermi vaccinata, è colpa del vaccino; se mi arrampico sul cornicione dopo aver visto Spiderman, è colpa della Marvel; se mi ammalo dopo aver incrociato una zingara, è colpa della zingara che senz’altro mi ha fatto un maleficio perché non le ho dato 50 centesimi; se c’è una rissa tra adolescenti neri e bianchi, è colpa del film che la sera prima hanno visto in tv (era sicuramente “Via col vento”, pellicola sobillatrice di istinti razzisti).

 

Quando c’erano pestilenze, carestie e conseguenti sciagure, molte bambine venivano ritenute responsabili di tutto ed era facilissimo dire: il mio raccolto è andato in malora perché è passata lei, in paese grandina da quando c’è lei, le bestie si ammalano da quando c’è lei. Le comunità, quando la vita diventa una serie di sfortunati eventi, cercano un capro espiatorio e lo trovano nel primo che passa, dopo il primo, o secondo, o terzo sfortunato evento, per poter dire: è colpa sua, eliminiamolo e tutto andrà bene. Scrivendo la storia di Caterina la strega di Vallebuja, nel primo dei tre racconti che compongono il suo nuovo libro, “Sortilegi” (Bompiani), Bianca Pitzorno spiega nella postfazione di aver voluto raccontare come, in un momento difficile, le persone tendano a creare un colpevole che “nessuno sarà in grado di difendere”. Caterina non era che un’orfana, tutta la sua famiglia era morta durante una pestilenza, lasciandola completamente sola quando era così piccola che, una volta cresciuta, aveva dimenticato tutto, e la sola cosa che sapeva, della sua vita, era che viveva sola in una casa dove pure c’erano tracce di altri.

 

   

 

Una ragazza selvaggia, sopravvissuta alla peste, alla solitudine e alla povertà, che a un certo punto viene notata da qualche paesano, che nei suoi giri in campagna ha gli occhi più vigili del solito, perché in paese le cose vanno male, succedono disgrazie, si patisce la fame e si è tutti in allerta. Chi la intravede, bella bionda e fuggitiva, quando torna a casa, s’ammala, poi parla di lei ad altri che si spingono fin dove è stata vista, e la vedono, e tornano a casa e s’ammalano anche loro, e la cosa si ripete così tante volte che tutto il paese chiama un inquisitore che catturi quella creatura demoniaca e la processi. Il processo avviene davvero, la povera Caterina a stento capisce quali siano i capi d’imputazione, e sempre, durante gli interrogatori e le torture cui la sottopone il tribunale, che fa le veci della Storia e del bias che ancora non si chiamava bias, dice: volete farmi dire che sono una strega ma non sono una strega. Viene condannata e annegata, per mancanza di legna e pure per paura che il fumo del rogo contamini le valli, le mucche, i bambini, le piazze, il mondo.

 

Caterina è Astrazeneca ed è pure un’orfana, e per anni cresce convinta d’essere sola al mondo, finché il mondo non la va a cercare e, quando la trova, la cattura, anziché scusarsi per non essersi preso cura di lei, o almeno chiedersi come sia potuto succedere che un’intera comunità si sia dimenticata di controllare se, in una casa in campagna dove un’intera famiglia era stata sterminata dalla peste, fosse rimasto vivo qualcuno. Caterina è “una bimba smarrita nel bosco, parente di Cappuccetto Rosso”, scrive Bianca Pitzorno, che è tornata con un libro per adulti sui bambini, di adulti sui bambini, di irresponsabili su innocenti. Un libro di vecchi che credono ai sortilegi, agli incantesimi, alle streghe, ai vaccini che si mettono a guidare autobus, a tutto, meno che all’unica cosa vera di questa vita e cioè che i bambini, senza di loro, crescono lo stesso, a volte anche meglio, e sopravvivono ai boschi, ai virus, agli autobus, alla dad, al 1630.

 

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.