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Il piccione con un occhio nero e uno rosso, e i segnali positivi che non trovo

Annalena Benini

Ci sono i giorni buoni, pieni di pacchi di Amazon e belle telefonate. E poi quelli cattivi, come questo

Ci sono i giorni buoni: guardo fuori dalla finestra, anzi la apro per sentire l’aria e appena la apro arrivano dieci piccioni, perché mia figlia li ha abituati così in questa quarantena, e loro vengono a reclamare la colazione, il pranzo e la cena. Penso che ce la faremo. Saluto i piccioni, ormai riconosco il più spavaldo, con un occhio rosso e uno nero, è entrato in cucina già due volte, se ne frega di tutto, vuole le sue briciole, il cane gli abbaia ma lui non si muove. Penso: è forte questo piccione, siamo forti anche noi. E la giornata va avanti in cerca di segnali positivi: il sole, mio figlio che mi prepara il caffè, una telefonata bellissima, quella frase di Arbasino “Il male di vivere lo incontravo a Voghera, ma non lo salutavo”, il pacco di Amazon che arriva con un giorno di anticipo. Mia madre mi chiede, in chat, se ho disinfettato il pacco. Le dico di sì, anche se non è vero, avevo molta fretta di entrare in possesso di questo nuovo aspirabriciole di assoluta potenza. Mento, ma è un giorno buono, penso che ce la faremo. Guardo dal videocitofono con molta simpatia la signora settantenne che non ha ancora imparato il codice del suo appartamento e suona sempre a me, anche dieci volte al giorno, senza mai capire che sta suonando a me, anche se gliel’ho spiegato di persona, quando ancora si poteva. Penso: ma dove va, perché esce di casa così spesso?, ma mi commuovono, dal video, i suoi capelli sempre più grigi e scomposti in queste settimane senza parrucchiere. Penso: ce la faremo, signora, tornerà presto a farsi il colore. E le apro il portone.

  

Poi ci sono i giorni cattivi, come questo: guardo fuori dalla finestra, anzi la apro, e vengo travolta da un’orda di piccioni affamati e sporchi che mi sbattono le ali addosso. Mi infurio con mia figlia che durante la lezione di matematica sbriciola grissini sul davanzale invece di correggere le equazioni. Penso che va tutto malissimo e cerco su internet le connessioni tra i piccioni e il coronavirus, non ne trovo, quindi urlo a mia figlia che i piccioni portano il coronavirus. Lei alza le spalle e però si lava la mani. Suonano al citofono, sto aspettando una lettera, ma è di nuovo la signora, stamattina è già la quinta volta. Vorrei urlarle dal citofono: signora, deve stare a casa!, ma mi acquatto e non rispondo. Penso: deve imparare qual è il suo appartamento. Ma lei insiste, insiste, e io la vedo con questi capelli scarmigliati, che le tolgono dignità, arrabbiata con casa sua perché non le aprono, mai attraversata dal dubbio di avere sbagliato, e penso: non ce la faremo. Le apro il portone, sconfitta un’altra volta, e dal video vedo le labbra della signora muoversi in un disegno che mi sembra chiaramente un mavaffanculo. Per sfogarmi, litigo nella chat di scuola con un padre che invade lo spazio dei compiti con una specie di controinformazione sul coronavirus e i legami con i campi elettromagnetici. Gli chiedo, gentilmente, di smettere (“la prego, basta”). Lui risponde che un po’ di informazione poco diffusa e non allineata non può farmi che bene e che sono ridicola. Interviene il rappresentante di classe. Mi sento ridicola e vorrei dare la colpa ai piccioni. Guardo dalla finestra e c’è un’ambulanza proprio qui sotto: tre operatori con le tute bianche e i sacchetti anche sulle scarpe, e una signora barcollante, con mascherina, che sale sull’ambulanza tenendosi il petto. Il marito le allunga una borsa, ringrazia le tute bianche e rientra in casa. L’ambulanza riparte con le sirene spiegate.

  

E’ un giorno cattivo, pieno di cattive notizie, soprattutto vuoto delle buone notizie che credevamo di meritarci, vuoto di speranza. Questi morti senza funerale, la paura, lo sgomento dei medici, degli esperti, l’incertezza su tutto. E’ un giorno cattivo ma i piccioni se ne fregano: vogliono le briciole che gli spettano, hanno fame, non c’è nessuno per strada e oggi fa anche più freddo. Hanno ragione loro, e ha ragione mia figlia: mi siedo sulla finestra aperta, e sbriciolo un altro grissino. Il piccione con un occhio nero e uno rosso arriva per primo, ma lascia le briciole più grosse alla colomba bianca. Forse domani sarà un giorno buono.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.