E poi, e poi?

Michele Neri

Che rumore fa un cuore che trema? Le mie goffe risposte di padre, e un grazie ai Simpson

Epoi? E poi?! Negli anni ho visto e rivisto con i miei tre figli di età diversa lo stesso episodio dei Simpson: è La prima parola di Lisa, quarta stagione; Marge è accanto al letto del piccolo Bart, cerca di addormentarlo con una fiaba e a lui non basta mai, lei crolla dal sonno, il figlio resta sveglio... E poi? E poi?! L’ansia di sapere come andrà a finire la storia, come vivranno sul pianeta travolto dal Covid-19, tira linee ad alta tensione tra i figli e me. Non me lo domandano espressamente, mi sento chiamato in causa da solo; divento insieme Bart e Marge: e poi? E poi? 

 

Provo a infilarmi in un domani che oggi nessuno capisce e mi sforzo di riempirlo con qualcosa di buono, uno scenario in cui sopravvivano i miei investimenti d’amore. Credo che tra i compiti del padre, ci sia descrivere loro non soltanto un futuro, ma un futuro un po' migliore di quello che immaginavamo prima. Mi guardano sospettosi e benevoli.

 

Ho cominciato con il pezzo facile. La natura ci ha dato un ultimo avviso ed è stata generosa, poteva spazzarci via in un soffio e invece ha tirato il freno d’emergenza. Pensa, dico alla piccola, a tutti quei ricci che adesso attraversano la strada sotto casa senza paura! Al grande: medita sul riassunto che, della propria esistenza e, per estensione, della nostra vita, dà Rob Doyle, uno scrittore: “You fucked until you could fuck no more, at which point you were really fucked”. Questo non mi rassicura, risponde.

 

Ho ricordato loro i malumori passati, gli annunci di catastrofi dalle quali non eravamo esclusi, eppure ci annoiavano. L’allarme suonava e nessuno si alzava, come se dovessimo prima finire colazione. Eravamo sedati, pigri, o sbaglio? Nomino i tracotanti che stanno tremando e i giusti, i generosi che saltano fuori: non sono la promessa di un avvenire migliore? Mi congratulo con la figlia grande: hai ripreso a dipingere! Vedi, stai riscoprendo te stessa. Mi manda la foto del quadro, una ragazza identica al soggetto dell’Urlo di Munch, un cuore cucito al posto del volto, la scritta su un cielo tempestoso: che rumore fa un cuore che trema?

 

Sto perdendo tempo con il presente. Serve un’immagine veloce, anche sfuocata del futuro. Intanto la sparo grossa: vi invidio un po’, voi che avrete modo di vivere più a lungo di me in questo domani migliore.

 

Perché, perché? (Bart a Marge).

 

Fino a oggi abbiamo vissuto in un mondo finito, nel senso che l’esistenza ha, purtroppo, un termine, facendo però finta –non è colpa nostra ma del sistema tecno-capitalistico dominante– di abitare tanti piccoli infiniti quotidiani. Abbiamo avuto paura di scegliere e d’investire su una passione, perché nulla se non tutto sembrava bastare; se non eravamo sicuri di controllare ogni cosa. E invece vi assicuro che è l’incertezza, il luogo della libertà. Volevamo ogni giorno tanti futuri diversi, dimenticandoci di lavorare per costruirne uno. E oggi è tornato a farsi vedere, nel modo più doloroso, la paura e la perdita. Ma è anche l’unico che possiamo capire perché, soltanto accettando la propria e altrui (di chi amiamo) vulnerabilità, viviamo e amiamo davvero. Il virus ha detto ehi, superuomo fifone, superstizioso, ipocondriaco, egoista, se l’altro non fosse fragile, vulnerabile, te ne fregherebbe qualcosa? Non farete gli errori della mia generazione... (il figlio: intanto il meglio ve lo siete preso noi negli anni Ottanta!).

 

L’altra versione è più selvatica. E’ il momento di un rewild personale: dall’isolamento, usciremo uguali a Thoreau nella natura. Non sentite questa rivoluzione che azzera tutto, è un reset globale, non volete essere i primi a coglierlo? E’ l’inizio di un’avventura: non è forse un sogno infantile, spumeggiante, ritrovarsi scampati al naufragio e al declino che lo precedeva con quei rumori sinistri? Io ho letto troppa fantascienza, sono abituato alle spiagge cristallizzate del dopo-bomba. Quando gli avevo chiesto come finirà tutto, James Graham Ballard, aveva risposto: “Getta indietro la testa. Urla. Fai un passo indietro. Aspetta. Ricomincia da zero a costruire il tuo mondo. Come fossi Robinson Crusoe. Sulla spiaggia deserta della tua nuova coscienza trovi alcuni oggetti curiosi –un cd del segnale radio emesso dalla Sputnik, una fonte di energia, un video porno, una foto del sorriso di un bambino, una siringa ipodermica, la Gioconda con il baffo di Duchamp, un computer portatile… prendili e riportali nel tuo nuovo tugurio e vedi se riesci ad assemblarli in qualcosa che abbia un senso. E’ difficile, ma aspetta, qualcosa di nuovo sta venendo fuori… un miracolo che zittisce l’isola”.

 

La figlia piccola dice che le piaccio perché sono un padre “ubriaco”; scoprirò che intendeva eccentrico.

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