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Il Bi e il Ba

L'ideologia woke è essa stessa una forma di AI

Guido Vitiello

Non c'è nulla di più semplice che produrre articoli e libri in serie, in cui le copie sono indistinguibili dall'originale. Era fisiologico che un sistema di pensiero così ripetitivo, schematico e replicabile accogliesse accademici e giornalisti di debole ingegno

Sbrigata la premessa di rito – la sinistra americana avrebbe dovuto curare i propri malanni col bisturi prima che Trump ci pensasse con la motosega – sul recentissimo ordine esecutivo contro “l’intelligenza artificiale woke”, una campagna cervellotica nelle premesse, stravagante nei metodi e pericolosa nei fini, propongo di fare un passo più in là. Il problema, infatti, non mi sembra tanto che gli algoritmi delle intelligenze artificiali siano nutriti a “woke Marxist lunacy”, come dice Trump; il problema, semmai, è che l’ideologia woke (passatemi, per brevità, quest’etichetta ormai logora) è essa stessa una forma di intelligenza artificiale, obbediente ad algoritmi molto schematici: i Simpson, genialmente, in una puntata del 2017 s’inventarono dei robot umanoidi camuffati da studentesse di Yale. Non c’è nulla di più semplice che fabbricare in serie, con o senza l’ausilio di una macchina, paper e articoli basati su quelle premesse, e la copia sarà del tutto indistinguibile dall’originale.

E' la vanvera ideologica nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Lo provano certe beffe eclatanti – da Sokal a Boghossian – come pure i mille generatori automatici di Theory diffusi in rete da prima che il tema dell’IA s’imponesse all’attenzione generale. E lo provano, ancor più, le sue fortune: era fatale che su un sistema di pensiero così ripetitivo, replicabile ma non falsificabile (capace cioè di costruire elaborati vaniloqui a partire da una petitio principii ideologica) si avventassero torme di arrivisti accademici e giornalistici di debole ingegno e di robusta ambizione, che per partecipare al banchetto si sono messi a parlare meccanicamente di intersezionalità, di privilegio sistemico, di femminismo decoloniale, di fragilità bianca o di mascolinità tossica. Dunque, il primo passo è espiantare dai cervelli – quelli umani, non quelli robotici – questo generatore di pseudo-concetti in sciatte vesti gergali. E questo non lo si ottiene con la motosega degli ordini esecutivi, ma con il bisturi della persuasione e della battaglia delle idee. 

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