
Ansa
Il Bi e il Ba
Anziché dare buoni consigli, Violante ci racconti di quando dava il cattivo esempio
La sua conversione al garantismo apparirebbe meno sospettabile di opportunismo se raccontasse la sua vita anche prima di Damasco. Ad esempio quando, come racconta Paolo Cirino Pomicino, il suo ufficio a Montecitorio si era trasformato nel crocevia della gestione politica della magistratura
Siccome si fa tardi, c’è un’altra cosa che vorrei domandare a Luciano Violante, foss’anche nella penombra di un confessionale. Penso infatti che la sua conversione al garantismo apparirebbe più perfetta, più inequivocabile, meno esposta a sospetti di opportunismo, se il nostro vuotasse il sacco sulla sua vita prima di Damasco; se, in altre parole, invece di dispensarci buoni consigli raccontasse tutti i dettagli di quando dava il cattivo esempio. Non è una curiosità antiquaria, la mia, perché la forma attuale della nostra repubblica, questa baracca pericolante che pare sempre sul punto di crollare, è stata edificata precisamente sulle macerie lasciate dal terremoto giudiziario dei primi anni Novanta. E se il tetto scricchiola sulle nostre teste è anche per gli errori di progettazione compiuti in quel cantiere frettoloso, inesperto e ben poco lungimirante.
Due scene si associano enigmaticamente nella mia testa. La prima l’ha descritta Geronimo, ossia Paolo Cirino Pomicino, in una pagina di Strettamente riservato, il suo memoriale sulla fine della Prima repubblica: l’ufficio di Violante a Montecitorio trasformato nel crocevia della gestione politica della magistratura, con il piccolo Vysinskij che promette intercessioni, prospetta condizioni, largisce rassicurazioni ai paarlamentari questuanti, purché facciano i bravi e non intralcino il cammino della rivoluzione giudiziaria. Ecco, mi piacerebbe che Violante aiutasse a gettar luce su quella vecchia scena, sperando che un poco ne riverberi su un’altra scena, che è invece recentissima: lo studio di Giuseppe Conte elevato a ufficio del Gip, e l’avvocato del popolo che chiede al Pd (e subito ottiene) le carte della procura di Pesaro su Matteo Ricci, per valutare se è sufficientemente immacolato da meritarsi un’alleanza con i Cinque Stelle. Le due situazioni sembrano molto diverse, ma messe l’una dopo l’altra fanno rima baciata, e compongono il poema eroicomico di un grande partito della sinistra che andò per suonare e finì suonato. Proprio come i pifferi di montagna (iniziali: pm).