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Il Bi e il Ba

La vicenda di Amir Babai e quella di un uomo impiccato due volte

Guido Vitiello

Amir è stato condannato dopo due anni di custodia cautelare in carcere. Si è tagliato la giugulare e un medico gli ha salvato la vita. Scampato per miracolo a una morte per dissanguamento, in quelle condizioni, è stato rimandato in galera come se nulla fosse

Non so quasi nulla della vicenda processuale di Amir Babai, il trentunenne iraniano condannato in primo grado dal tribunale di Locri per favoreggiamento all’immigrazione clandestina dopo quasi due anni di custodia cautelare in carcere. So solo che, tornato in cella a seguito della condanna, Amir si è tagliato la giugulare, e so che il medico di turno – un chirurgo, per sua fortuna – è riuscito a salvargli la vita bloccando l’emorragia con quindici punti di sutura. So pure che in quelle condizioni, scampato per miracolo a una morte per dissanguamento, Amir Babai è stato rimandato come niente fosse in carcere. Altro non so e non posso dire.

Ma so che l’episodio mi ha ricordato la lettera che un esule russo a Londra, un rivoluzionario amico di Aleksandr Herzen di nome Nikolaj Ogarëv, scrisse alla sua amante nel 1860 (la riporta Al Alvarez nel bellissimo Il dio selvaggio, Rizzoli 1975, ristampato qualche anno fa da Odoya): “Venne impiccato un uomo che, dopo essersi tagliato la gola, era stato salvato. Lo impiccarono per essersi voluto suicidare. Il dottore aveva asserito che era impossibile impiccarlo poiché la gola si sarebbe riaperta ed egli avrebbe potuto respirare attraverso la ferita. Questo parere non venne ascoltato e impiccarono il loro uomo. La ferita alla gola si riaprì immediatamente e l’uomo tornò in vita per quanto fosse impiccato. Ci volle del tempo per convocare gli assessori perché decidessero sul da farsi. Infine gli assessori si riunirono e legarono il collo al di sotto della ferita finché non fu morto. Oh, Maria mia, che società pazza e che stupida civiltà”. Forse l’analogia tra i due fatti è blanda, ma sottoscrivo la chiosa finale. 

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