(Lapresse)

Il Bi e il Ba

Il giornalista come scrivano pubblico, meglio non sottovalutarlo

Guido Vitiello

Prima Travaglio con Di Pietro e i grillini, poi Massimo Franco con Di Maio, adesso tocca a Galli della Loggia ingentilire i pensieri di Giorgia Meloni riportandoli su carta

Pennivendoli, giornalai, scribacchini – detesto tutti gli epiteti che la teppa grillina ha affibbiato in questi anni ai giornalisti. Ci tengo a precisarlo ora che mi accingo a introdurre un epiteto nuovo, quello del giornalista come scrivano pubblico, ossia colui che mette in bella forma e in bella copia i pensieri di un committente incolto. Non è un mestiere servile, Manzoni lo dice chiaramente: “Chi ne sa più degli altri non vuol essere strumento materiale nelle loro mani; e quando entra negli affari altrui, vuol anche fargli andare un po’ a modo suo”; perciò lo scrivano prende i pensieri di chi si rivolge a lui e “li corregge, li migliora, carica la mano, oppure smorza, lascia anche fuori, secondo gli pare che torni meglio alla cosa”.

 

Guai a sottovalutare gli scrivani! Per anni Travaglio ha messo in italiano corretto le parole zoppicanti di Di Pietro, poi quelle sconnesse di Grillo, e così facendo li ha accreditati presso un’opinione alfabetizzata che normalmente sarebbe stata alla larga da due demagoghi ruspanti. Massimo Franco ha fatto lo stesso, nel 2018, per il promesso premier Di Maio. Ora tocca a Galli della Loggia, che s’improvvisa calligrafo di Giorgia Meloni, caricando la mano sulla sua impeccabile fedeltà costituzionale, smorzando sulle sue balordaggini e fascisterie. Ne nasceranno molti equivoci, come nella corrispondenza tra Renzo Tramaglino e Agnese.