(foto LaPresse) 

IL BI E IL BA

Ormai i politici ordinano gli arresti su Twitter

Guido Vitiello

"Sulla morte di Willy ci aspettiamo pene severe", dice Conte. Ma non è il primo uomo delle istituzioni a interferire con le prerogative giudiziarie. Ricordare il processo Marta Russo 

Prima notizia. A maggio una sentenza della Cassazione ha stabilito – riassumo a mia volta il riassunto fattone ieri da Filippo Facci – che le perizie disposte dall’accusa hanno valore preminente rispetto a quelle della difesa. Mi è tornato in mente un processo in cui la Corte se ne infischiò non solo delle perizie difensive, ma anche di quelle super partes che aveva essa stessa disposto: il processo Marta Russo. Seconda notizia: ai funerali di Willy Monteiro, il molto elogiato presidente del Consiglio (nonché, circostanze aggravanti, avvocato e ordinario di diritto) Giuseppe Conte ha detto che “ci aspettiamo pene severe”. E io ho provato a ricordarmi quand’è che è cominciato il malcostume, da parte di politici e uomini delle istituzioni, di auspicare pubblicamente modi, tempi ed esiti dei processi, interferendo con le prerogative giudiziarie – fino all’iperbolica barbarie del ministro Salvini (quello che piace ai garantisti che piacciono) il quale pretendeva di ordinare via Twitter perfino gli arresti o i lavori forzati. La memoria è corsa di nuovo lì: al caso Marta Russo, un caso non politico in cui fin dal primo giorno la politica si immischiò a tal punto da renderlo più politico dei casi politici. Tante aberrazioni hanno origine in quel famigerato processo. Per questo dovremmo tutti ascoltare “Polvere”, il nuovo podcast di Cecilia Sala e Chiara Lalli. E leggere “Marta Russo. Di sicuro c’è solo che è morta”, il documentatissimo libro di Vittorio Pezzuto. Che dovette pubblicarselo da solo perché, gli dissero gli editori, quella vecchia storia non interessava più a nessuno.

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