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Depistaggi, fughe di notizie e conflitti. La magistratura divisa

Annalisa Chirico

Le parole del procuratore Musti su Cpl Concordia e il metodo degli “esagitati” che volevano “arrivare a Renzi”

Roma. Attorno al caso Cpl Concordia e al possibile trasferimento del pm partenopeo Woodcock si consuma uno scontro sotterraneo gravido di conseguenze. Quale che sarà l’esito dell’istruttoria, in seno al Csm si fronteggiano due modi diversi di intendere l’attività inquirente. A tenere banco non ci sono soltanto le presunte irregolarità commesse con il deliberato obiettivo di “arrivare a Renzi”; man mano che i lavori procedono e le audizioni si accumulano e gli atti si affastellano, emergono due concezioni inconciliabili del ruolo del pubblico ministero, delle sue responsabilità e limiti, della fisiologia inquisitoria tanto nel rapporto con la polizia giudiziaria quanto nelle eventuali interazioni con gli organi di stampa. Perciò, contrariamente alla solennità ovattata imposta dalla maestosità istituzionale, di recente alcune sedute a Palazzo de’ Marescialli si sono contraddistinte per i toni spicci e incisivi di certi consiglieri, al punto di far dire a un magistrato di lungo corso: “Una tale animosità non si è vista neppure per le nomine di Milano e Napoli…”.

 

Da un coté, si scontrano scuole di pensiero diverse su come debba svolgersi l’attività del pm; dall’altro, pesano le inevitabili ricadute politiche a proposito di un’inchiesta, quella sulla cooperativa rossa con base a Modena, alla quale si lega a doppio filo un’altra, il Consip-gate, con imbarazzante coincidenza di protagonisti e anomalie. Lo scorso mercoledì il consigliere togato Piergiorgio Morosini, in quota Magistratura democratica, ha stigmatizzato la pubblicazione del verbale del procuratore di Modena Lucia Musti: “Diverse testate hanno fatto credere la responsabilità di pm sulla fuga di notizie dell’intercettazione Renzi-Adinolfi, ma abbiamo sentito dai lavori della Prima commissione che è radicalmente da escludere la responsabilità del pm Woodcock”. Morosini, già protagonista di una burrasca istituzionale per le affermazioni disinvolte, rilasciate proprio a questo quotidiano, a proposito di Renzi, Lotti e Boschi nel pieno dell’iniziativa militante contro il referendum costituzionale, ha redarguito i colleghi: “Bisogna riflettere sul carattere destabilizzante della diffusione di certe notizie che diventano presupposto di campagne di delegittimazione nei confronti dei soggetti operanti nella giurisdizione”.

 

Non si è fatta attendere la stoccata del presidente della Prima commissione, il renziano Giuseppe Fanfani: “La trasparenza degli atti non è un disvalore. La conoscenza esterna di fatti rilevanti non può essere considerata un fattore destabilizzante”. Più dura la replica del consigliere Luca Palamara, togato di Unicost e relatore nel procedimento: “Non si può trasformare il plenum nel luogo dove svolgere comizi politici nella speranza che i giornalisti presenti in aula possano fare da cassa di risonanza. Il consigliere Morosini dice che le notizie di questi giorni impediscono di far chiarezza sulla vicenda Consip. In questo modo egli è gravemente scorretto nei confronti della procura di Roma che è costantemente impegnata in una delicata attività di accertamento. Ogni fuga di notizie è una sconfitta per la giurisdizione. Inoltre risulta irrispettoso verso la Prima commissione anticipare gli esiti di decisioni che nemmeno sono state prese”.

  

In realtà, il fascicolo bollente in prima commissione riguarda Cpl Concordia, con la famigerata intercettazione tra l’allora segretario Pd Renzi e il generale della Guardia di Finanza Adinolfi (“Letta non è cattivo, non è proprio capace”), a provocare il malaise di Morosini sarebbe l’enfatizzazione mediatica del verbale del procuratore Musti che la stessa commissione ha deciso di trasmettere alla procura di Roma per i giudizi espressi sull’operato di alcuni ufficiali. Tale è la pressione non solo mediatica che Musti ha voluto precisare: “Alcune affermazioni, per come riportate, non rendono in modo fedele quanto da me riferito al Csm”; mentre, dopo certe anticipazioni su una imminente archiviazione per Woodcock, attualmente indagato dai pm capitolini per falso e violazione del segreto, la procura di piazzale Clodio ha fatto sapere all’Ansa che “ancora nessuna decisione è stata presa”. Irritualità in una vicenda orba di rituale. A dispetto degli esilaranti tentativi di depistaggio mediatico, la dottoressa Musti è lungi dallo smentire alcunché.

 

Il Foglio è entrato in possesso di resoconti stenografici e verbali relativi alla sua audizione. Vi sottoponiamo non un report giornalistico ma documenti consiliari ufficiali di una seduta non pubblica. “Lei lo sa, presidente, – il soggetto sottinteso è il capitano del Noe Scafarto – ogni volta che veniva su cercava di passare, prendere un caffè. A me queste persone non piacciono, io non prendo caffè, non intrattengo rapporti con persone quando lavoro, se non per ragioni di lavoro, e io e il capitano non avevamo motivo di incontrarci. Anche perché lui a un certo punto mi aveva detto: ‘Adesso abbiamo un’importante indagine con il dottor Woodcock, succederà un casino’, e io dissi: ‘Ah sì?’, sa quando dice: ‘Che cosa vuoi da me, che cosa mi interessa a me cosa fa Woodcock, cosa fa il collega Esposito? A me non interessano le attività degli altri colleghi’”. Il racconto del procuratore Musti prosegue: “Quando una sera tardi, verso mezzanotte e mezza, salta fuori la notizia capitano del Noe, a me è venuto un colpo, perché ho detto: ‘Uno più uno fa due, finalmente l’hanno preso’, punto, fine. Perché il modo di fare di questo capitano era assolutamente spregiudicato, ma non solo suo, anche il colonnello che lo comandava allora, colonnello De Caprio, col quale io sono venuta in contatto, perché prima di andare dal procuratore Pignatone, insieme ai due sostituti e ai carabinieri del reparto operativo Comando provinciale di Modena, delegati per l’indagine Prefettura, quella era vergine e bisognava svilupparla tutta, per cui c’erano queste intercettazioni fatte con i piedi dai carabinieri dove sulla base di un’affermazione del tipo: ‘Questo lampadario è verde’, allora si diceva che il lampadario era verde perché erano venuti i marziani che avevano corrotto e sulla base di un lampadario verde si facevano delle costruzioni di reato, che effettivamente si diceva che il lampadario era verde”.

 

Alla fine, nonostante l’entusiasmo degli investigatori, la procura di Modena archivierà il ramo Prefettura. Da Napoli l’informativa, che consta di ben undici capitoli, arriva a Modena attraverso le mani di Scafarto (“Lui ha fatto da latore, da nuncius. Peraltro era un prezzemolo, stava sempre in mezzo”, dice Musti). Il fascicolo viene consegnato nella sua interezza, e senza omissis, sebbene soltanto un capitolo, il secondo, sia di pertinenza della procura retta da Musti. “Io non ho mai visto un’informativa così – afferma il procuratore – perché entra subito nel merito. Cioè comincia subito a raccontare fatti, persone, cose eccetera. Le informative alle quali ero abituata io per vent’anni, erano informative soprattutto finali, avevano scritti gli indagati, i reati”. E ancora: “A me non interessava nulla di questa informativa che era fatta con i piedi. Mi scusi, ma è un’informativa fatta male. Cioè è un’informativa discorsiva, dove sembrano chiacchiere da bar a volte. Io non conoscevo questi carabinieri, ero abbastanza sorpresa da questo modo di fare le indagini, di approcciare le persone, i reati”.

 

Il capitolo settimo comprende l’intercettazione Renzi-Adinolfi, l’ottavo include la telefonata di Francesco Simone, dirigente della Coop rossa, che dice: “Dobbiamo investire nella fondazione Italiani Europei. D’Alema mette le mani nella merda”. Quanto al ruolo del Noe, ecco le parole testuali del magistrato Musti: “Mi sembravano veramente molto spregiudicati questi carabinieri, con un delirio di onnipotenza, soprattutto il colonnello (De Caprio, ndr) e il capitano (Scafarto, nda), perché poi c’era questo maggiore De Rosa che è quello che ha firmato l’informativa in questione, che mi sembrava più equilibrato, ma gli altri due erano veramente matti. Scusi, matti no, erano esagitati, non mi piaceva neanche il rapporto con l’autorità giudiziaria che avevano, perché a me avevano detto: ‘Dottoressa, lei se vuole ha una bomba in mano, lei se vuole può fare esplodere la bomba’”. Il presidente le chiede di precisare la paternità della frase: “Il colonnello De Caprio – risponde Musti – mi disse: ‘Lei ha una bomba in mano, se vuole la può fare esplodere’”. Mentre Scafarto, riferisce Musti, le disse: “Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi”. Il presidente la incalza: “Le ha detto anche ‘arriviamo a Renzi?’”. “Sì, perciò io ho detto: ‘Mamma mia, io di questo non voglio sapere niente’. Ovviamente lo dissi ai miei colleghi sostituti: ‘Ragazzi, qua abbiamo fatto bene a liberarcene subito, perché questi sono dei matti’’.

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