Una foto dall'alto del quartiere Santa Giulia a Milano (Foto Imagoeconomica)

Una città che cambia. Screening di Santa Giulia-Rogoredo

Daniele Bonecchi

La “scommessa periferie” alla prova. Mano pubblica, sviluppatori privati, regole smart. I fatti

Periferie. L’ossessione è tornata, e dopo un paio d’anni in surplace Beppe Sala ha rotto gli indugi e ha concentrato gli sforzi là dove la sinistra perde terreno. Ma vale la pena capire meglio che cosa sta concretamente avvenendo nelle zone di maggiore interesse, coinvolte nei progetti di risanamento più attesi per le condizioni difficili e su cui la maggioranza milanese ha puntato molto del proprio progetto.

 

Prima tappa, Rogoredo. Conosciuto di più, oggi, per il “boschetto della droga”, sul quale in verità sono ormai numerosi gli interventi di bonifica, che per la sua storia. “Andava a Rogoredo, cercava i suoi danée / girava per Rogoredo e vosava come un strascée”, cantava di un operaio innamorato Enzo Jannacci a metà degli anni 60. Ma del quartiere operaio è rimasto poco, il nucleo storico, la chiesa e un paio di trattorie tipiche ma non troppo. Il resto è occupato da due sale giochi e tanti negozi etnici. Tutto attorno sta crescendo però una città nuova. Dopo gli anni difficili del primo quartiere Santa Giulia, il progetto originale dell’architetto Norman Foster, la bufera giudiziaria che spazzò via il gruppo Zunino, la storia infinita delle bonifiche sulle aree ex Montedison, finalmente, dopo l’arrivo in forze di Sky nel quartiere, si volta pagina.

  

Presentato il piano che entro il 2021 trasformerà arterie importanti della città. Qui il rendering per Piazzale Loreto 


 

Oggi a gestire la rinascita di Rogoredo ci sono Risanamento e il gruppo Lendlease, gli australiani maestri di rigenerazione urbana che si sono aggiudicati anche lo sviluppo dell’area post Expo. I primi segni dell’inversione di tendenza sono partiti mesi fa quando è stato aperto il cantiere di Spark One, un palazzone di vetro proprio di fronte alla metropolitana e alla stazione ferroviaria. Si tratta del primo edificio certificato Well (caratteristiche d’innovazione tecnologica, wellbeing, sostenibilità ambientale e community relations) che, grazie al nuovo business district, trasforma i propri spazi del piano terra in luoghi da condividere col quartiere. Funzioni d’uso che dovrebbero favorire l’integrazione e lo scambio tra persone e le aree pubbliche circostanti, rendere gli ambienti di lavoro più efficienti e piacevoli e allo stesso tempo favorire la nascita di una nuova socialità urbana. Un po’ come la vecchia cooperativa del quartiere, declinata ai giorni nostri. A seguire, verrà realizzato anche Spark Two, con un’area destinata al terziario, che diventerà una delle più grandi della città di Milano, connessa con il centro e con tutte le principali infrastrutture di trasporto (Linate, autostrade, tangenziali, Fs e metropolitana), impiegando anche una linea tranviaria interna al quartiere.

 

  

Ma il cuore di Santa Giulia 2 ruota attorno alla variante che prevede il riassetto planivolumetrico dell’area con una ridistribuzione delle funzioni. Circa 400 mila mq di superficie complessiva, di cui il 50 per cento ad uso residenziale (per un totale di 3.500 nuovi appartamenti), il 20 per cento ad uso commerciale e 30 per cento ad uso terziario. Dunque residenza, attività commerciali e grandi opere. Tra le quali la realizzazione della grande arena destinata – se la candidatura di Milano-Cortina risulterà vincente a fine mese – a ospitare il palaghiaccio olimpico. Il nuovo quartiere ospiterà però, già da fine anno, uno “smart district” di oltre 615 appartamenti, servizi commerciali, spazi verdi, costruito anche in questo caso su un’idea di sostenibilità che mette al centro le persone, le famiglie e la socialità. E’ il progetto “Redo”, uno tra i più grandi interventi di social housing, ad oggi, in Italia, voluto da Fondazione Cariplo, comune e regione. Realizzato dal Fondo immobiliare di Lombardia, primo fondo etico per l’housing sociale, su aree che il comune di Milano ha messo a disposizione in diritto di superficie. L’intervento offrirà un contributo importante al processo di riqualificazione del quartiere, che avrà anche a disposizione una nuova scuola media pubblica.

 

Ma a raffreddare gli entusiasmi per la resurrezione di un quartiere della periferia milanese ci pensa la burocrazia di palazzo. Perché se comune e regione viaggiano di concerto, l’iter per l’approvazione della variante è lungo e accidentato. Già nel 2016, su richiesta di Palazzo Marino era stato disposto l’avvio del procedimento di variante. “Regione Lombardia – fanno sapere gli uffici – ha ritenuto in linea generale le proposte di variante compatibili. Ma sia l’ampliamento della superficie destinata ad attività commerciale (da 30 mila a 90 mila mq) che la trasformazione della superficie destinata a residenza per studenti, residenza socio sanitaria in edilizia libera e convenzionata, nonché  la sostituzione  di un centro congressi con un museo e un’arena polifunzionale devono essere oggetto di  valutazione”. E fin qui sarebbe una buona notizia, solo che “per la conclusione definitiva del procedimento di approvazione dell’atto integrativo si può ipotizzare non meno di un anno”. Ma anche il comune deve procedere speditamente con “la documentazione definitiva del Programma integrato d’intervento (Pii) che dovrà, a sua volta, essere poi preventivamente validata dalla segreteria tecnica dell’Adp (Accordo di programma)”. A oggi il comune non ha ancora trasmesso in regione la proposta definitiva di Pii”. E per raggiungere il traguardo c’è ancora l’ultimo miglio: “Una volta pubblicata la documentazione e trascorsi i 60 giorni previsti, spetterà di nuovo al comune rilasciare (entro 90 giorni) il parere motivato. Insomma un percorso a ostacoli, non breve e accidentato che vedrà il traguardo probabilmente nell’autunno del prossimo anno. Intanto Rogoredo aspetta di cambiare pelle, lasciandosi alle spalle l’immagine un po’ malinconica dei racconti struggenti di Jannacci, e i molti più attuali problemi sociali.

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